venerdì 31 dicembre 2010

Proletari Armati per il Comunismo


E alla fine Lula ha detto no all’estradizione di Cesare Battisti. Per un commento migliore di quello che potrebbe essere il mio, suggerisco lo splendido articolo di Benedetta Tobagi (figlia di Walter, giornalista assassinato nel 1980 da un gruppo terrorista di estrema sinistra) apparso su La Repubblica.
Qui mi limito a mettere in serie un po’ di dati. Cesare Battisti nasce a Sermoneta, Latina, il 18 dicembre 1954. Fin dall’adolescenza si rivela un “ragazzo difficile”: nel 1971 abbandona il liceo classico ed è segnalato più volte per atti di teppismo alle forze dell’ordine locali. Nel 1972 viene arrestato per la prima volta per una rapina compiuta a Frascati. Nel 1974 commette un’altra rapina, questa volta condita da sequestro di persona, a Sabaudia e successivamente viene anche denunciato per aver commesso “atti di libidine” (vecchia fattispecie oggi ricompresa nella violenza sessuale) nei confronti di una persona incapace. Ma è solamente nel carcere di Udine, dove viene rinchiuso nel 1977, che conosce l’ideologo dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo) Arrigo Cavallina e decide di mettere il suo mestiere al servizio della rivoluzione proletaria armata.
Uscito di galera, tra il 1978 e il 1979, partecipa a quattro omicidi: in tre concorre nell’esecuzione, mentre del quarto viene riconosciuto come co-ideatore. A cadere per mano sua sono Antonio Santoro (maresciallo della Polizia Penitenziaria), Pierluigi Torregiani (gioielliere) e Andrea Campagna (agente della DIGOS), mentre nel caso dell’assassinio di Lino Sabbadin (macellaio) Battisti si limita a offrire “copertura armata” all’esecutore materiale Diego Giacomin.
Luiz Inacio Lula da Silva nel suo ultimo giorno di presidenza del Brasile ha detto no all’estradizione in Italia dell’assassino Cesare Battisti. Non vi sono motivazioni giuridiche che possano sorreggere la sua decisione. Il riferimento a un supposto pericolo di morte che Battisti correrebbe nel tornare in Italia è ridicolo ed estremamente offensivo per il nostro Paese. La decisione di Lula è quindi solamente politica e va contestualizzata: essa è stata presa dal leader del Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori), il cui simbolo è una stella rossa, che ha designato come sua “delfina” Dilma Rousseff, la quale iniziò la sua militanza politica partecipando alla lotta armata contro il regime militare nella VAR (Vanguarda Armada Revolucionária Palmares), "un’organizzazione político-militare di carattere partitico, marxista-leninista, che si propone[va] di prendere il potere e costruire il socialismo".  
Battisti ha scelto molto bene quando è fuggito dalla Francia: il governo brasiliano di sinistra si è mostrato per natura incline a simpatizzare per la lotta armata comunista. Le accuse di fascismo all’Italia da parte del detenuto e la poca stima internazionale del governo Berlusconi (visto come un nuovo Perón) hanno fatto il resto. E così Lula ha accontentato l'ala più radicale del suo partito. L’Italia ha comunque perso molto tempo: doveva mostrarsi più forte e decisa fin da quando apparve chiaro che Lula non avrebbe restituito il terrorista rosso, oltre un anno fa. Ma ormai è troppo tardi e purtroppo sembra avere ragione Giuseppe Cruciani (autore del libro Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare Battisti?, Sperling & Kupfer) quando dice che il Brasile di certo “avrà messo in conto la reazione italiana nei confronti del nuovo governo, ma avrà anche avuto rassicurazioni che non ci sarebbe stata una reazione forte”. Vedremo nei prossimi giorni se la nostra Italietta si dimostrerà ancora una volta tale.