domenica 31 gennaio 2010

Port-au-Prince come New Orleans


“Molti giornalisti sono ancora sconvolti perché dopo il passaggio dell’uragano Katrina a New Orleans, nell’agosto del 2005, furono rubati dei televisori. Ma cos’è più importante, una tv o la vita umana? Mentre le persone morivano sui tetti delle case, nel caldo soffocante delle loro soffitte o sulle soprelevate della città, abbandonate a loro stesse, i mezzi di informazione cominciavano a essere ossessionati dai saccheggi. A quel punto il sindaco di New Orleans e il governatore della Louisiana decisero di proteggere le cose invece delle persone.
Alcuni bianchi che si trovavano sulla sponda del fiume opposta a New Orleans erano così spaventati che decisero di farsi giustizia da sé prendendo in mano le armi. Cominciarono a sparare ai neri, che secondo loro erano tutti ladri e criminali. I cadaveri in decomposizione di alcune delle vittime furono ritrovati a settembre lontano dalla zona delle alluvioni. I mezzi di informazione girarono la testa dall’altra parte”. Così scrive Rebecca Solnit, saggista e scrittrice statunitense, in suo articolo comparso su Tomdispatch.com e ripreso questa settimana da Internazionale.
Da Haiti ci arrivano le foto degli “sciacalli” uccisi dalla polizia (ma anche in alcuni casi da persone comuni). Anche lì si è deciso di usare fermezza contro i looters.
Mi chiedo cosa possa saccheggiarsi in uno dei paesi più poveri al mondo. La gente aveva poco o nulla prima, mi figuro ora. Tutti gli ordinamenti giuridici ci insegnano che lo stato di necessità è causa di giustificazione di una condotta di reato, la quale viene in questo modo resa lecita. Non è questo il caso di una persona affamata che ruba latte in polvere da un supermercato sventrato? Le condizioni disperate di Haiti rendono necessaria la lotta per la sopravvivenza tra gli stessi esseri umani.
Non si può privilegiare la proprietà a discapito della vita.
Quanto è immensamente più importante la vita umana rispetto ai beni materiali?

(nella foto, uno degli "sciacalli" di Port-au-Prince)

domenica 24 gennaio 2010

Se la Cina ha paura di Avatar


Che Avatar sia un film importante lo si capisce più che dal record di incassi dal fatto che la Cina stia cercando di limitarne la diffusione. I vertici della Propaganda hanno infatti deciso il ritiro dalle sale di quasi tutte le copie dell'ultima pellicola di James Cameron. Il motivo? Fare spazio al colossal cinese Confucius, film nazionalista che continua il filone legato alla rivoluzione culturale iniziata già da Mao. L'intento è chiaro: lasciare la strada libera alla riscrittura romanzata della vita del filosofo cinese, secondo un preciso fine di indottrinamento. Via quindi il film occidentale e sobillatore. Sì, perchè chi di dovere è riuscito a leggere nel film le allusioni alla Cina, ai suoi problemi di scontri etnici (Tibet, Uiguri del Xinjiang), ma soprattutto agli sfratti forzati di massa.
Molti cittadini cinesi infatti si riconoscono negli abitanti di Pandora, i Na'vi, i quali subiscono la distruzione della loro casa (l'albero sacro) ad opera degli umani. Lo stesso accade in Cina, dove gli umani sono paragonabili agli "chengguan", gli scagnozzi dei grandi costruttori di grattacieli che intimidiscono i proprietari e procedono agli sgomberi. Il rischio è quindi che la gente reagisca come nella pellicola: con la ribellione.
L'importanza di un film come Avatar la si evince anche da questo, ma non solo. La spasmodica ricerca che nel film la razza umana compie al fine di ottenere l'unobtanium non è assimilabile ad altre che avvengono nel mondo reale ogni giorno per cercare il petrolio in Sudan, l'uranio in Niger o l'oro in Congo, le quali comportano l'utilizzo degli eserciti (regolari o no), spesso per proteggere gli interessi delle multinazionali?

martedì 19 gennaio 2010

Solo da sepolti li vediamo



"Solo da sepolti ci vedono". E già, quanti di noi prima di questo tremendo terremoto sapevano anche solo posizionare Haiti sulla cartina geografica? Chi sapeva che fosse il paese più povero delle americhe, e che più di metà della popolazione vivesse con meno di un dollaro al giorno e il 78% con meno di due dollari? Come potevamo sapere che una grave deforestazione avesse lasciato al Paese solo il 2% di copertura boschiva, o che le prime elezioni democratiche (a cui però seguirono altri colpi di stato) si fossero svolte solo nel 1990? Tutte queste cose adesso le sappiamo, e in televisione li vediamo lì, sottoterra, fra più giornalisti che medici.

(vignetta di El Roto per il quotidiano spagnolo "El País")

venerdì 15 gennaio 2010

Un libro nascosto. “Doveva morire”: così non è stato salvato Aldo Moro.


Bighellonando in libreria con un amico mi cade l’occhio in basso, all’ultimo scaffale, su di un libro nascosto tra altri riguardanti gli anni di piombo: il titolo “Doveva morire” scritto a caratteri cubitali mi colpisce tanto da comprarlo.
“Doveva morire” è un libro importante, di quelli che quando escono si fa sempre attenzione a non pubblicizzare troppo, che qualcuno potrebbe comprarli, leggerli, capire. Per di più è scritto da due persone di sicuri valore e affidabilità: Ferdinando Imposimato, uno dei giudici a cui nel 1978 venne affidata l’inchiesta sulla strage di via Fani, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse (ma che fu anche istruttore di altri processi riguardanti Banda della Magliana, mafia e camorra, specializzandosi in terrorismo), e Sandro Provvisionato, giornalista prima de L’Europeo e poi di Tg5 e Terra!, di cui è uno dei responsabili.
Il libro impressiona per l’analiticità e la sistematicità con cui viene ricostruita la vicenda Moro, avvalendosi di importanti documenti sia appartenenti alle inchieste giudiziarie, sia ritrovati nel tempo con la progressiva scoperta dei covi BR e la caduta dei governi storici. In appendice sono riportate anche le copie di molti documenti originali, tra i quali le relazioni di Steve Pieczenik, agente della CIA e membro del Comitato di crisi non ufficiale istituito da Cossiga, che dichiarerà anni dopo: “Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro”. Un altro membro di quel comitato ombra, Franco Ferracuti dirà: “Aldo Moro era politicamente morto fin dal giorno della sua prima lettera dalla prigionia. E, dal punto di vista del governo, è stato meglio che l’incidente di Moro sia finito come è finito”.
Ma oltre al Comitato di crisi un altro organo ha un’importanza fondamentale nel caso Moro: l’UCIGOS.

lunedì 11 gennaio 2010

Taz muore e forse è anche colpa dell’uomo


Povero Taz. Il diavolo della Tasmania, il marsupiale che ha ispirato il fortunato personaggio dei Looney-Tunes, che i nostri coetanei ricorderanno come protagonista di una serie di cartoni animati degli anni ’90, rischia di scomparire per sempre.
La rivista Science riporta che è stata scoperta l’origine del tumore contagioso che ha decimato i diavoli della Tasmania e potrebbe causarne presto l’estinzione. L’analisi genetica di 25 campioni ha rivelato che il cancro è formato da cellule derivate da tessuto nervoso, identiche in tutti gli animali. Prima erano stati individuati alcuni degli agenti cancerogeni in conseguenza di studi ordinati dal governo tasmaniano. I dati, forniti dal quotidiano The Australian, rivelerebbero che si è accertata la presenza negli individui infetti di potenti elementi chimici utilizzati in genere per prevenire gli incendi. Si tratta in particolare di componenti tossici come due difenili polibrominati: l'esabromobifenile ed il decabromodifenile, impiegati principalmente per la fabbricazione di oggetti a ridotta incendiabilità (fra i quali computer, elettrodomestici, tappeti) e di schiume con analogo scopo (usate ad esempio per i mobili). Forse quindi anche l’utilizzo di agenti chimici non sicuri da parte dell’uomo ha influito sull’espandersi dell’epidemia.
Il tumore facciale del diavolo (DFTD, devil facial tumour disease) è stato individuato per la prima volta nel 1995. A maggio 2009 era scomparso il 70% degli esemplari. Il cancro si diffonde tra gli animali mentre si mordono nelle lotte per il cibo e i compagni.
Il diavolo della Tasmania è stato classificato ufficialmente specie a rischio. Il governo tasmaniano ha attivato dei programmi di studio della malattia e di salvataggio della specie: il principale è il Save the Tasmanian Devil Program, tramite il cui sito web è possibile effettuare donazioni per la causa, finanziando le ricerche finalizzate a contrastare la diffusione del fenomeno.
La malattia è veramente tremenda: impedisce agli animali di nutrirsi, condannandoli a morire di inedia se le metastasi non li finiscono prima. La mortalità è del 100%, in quanto non c’è ancora nessuna cura. In questi anni i diavoli sono diventati il símbolo dei servizi di protezione della vita animale e dei parchi nazionali nell'isola. In Tasmania il problema è vissuto con molta preoccupazione, ma anche partecipazione, a partire dalle scuole elementari. Ne sono esempio storie veramente toccanti, come quella di Laura D’Alessandro, una bambina del New South Wales di nove anni che ha donato tutta la sua paghetta per salvare i suoi amati Tassie devils.

domenica 10 gennaio 2010

"Un nuovo patriottismo: libertario, pacifico e inclusivo"


Articolo di Filippo Rossi, direttore del periodico on-line della Fondazione FareFuturo, Ffwebmagazine, pubblicato sullo stesso il 6 gennaio 2010.
Titolo originale: “Un nuovo patriottismo, libertario pacifico e inclusivo. Un valore di destra, da declinare senza urlare e oltre la guerra civile.”


Parliamo di patriottismo. Così, tanto per tornare all’abc, dal momento che sembra del tutto inutile anche solo cercare di vagheggiare ogni tipo di superamento, nel dibattito pubblico, delle categorie destra-sinistra. Categorie, detto per inciso, morte e sepolte nella vita reale degli italiani. E allora torniamo all’abc per ricordare che, indubbiamente, da sempre, la parola patria è nel dna di qualsiasi destra possibile. E il patriottismo scorre nel sangue al posto dei globuli rossi. Se scegli il lato destro te lo buttano in vena come una droga, ti rimane nel corpo, a volte purtroppo degenera nell’overdose nazionalistica, altre, invece, rimane “leggero” e ti fa guardare il mondo con lo sguardo lucido di chi riesce a dimenticare se stesso, di chi riesce ad abdicare al proprio individualismo. Facciamola semplice: per stare a destra, allora, non si può che essere patriottici. Ecco qua.
Passaggio successivo. Cosa significa essere patriottici nell’epoca post-moderna, nei giorni in cui, per fortuna, la guerra non è più un valore e, soprattutto, non ha più nessuna capacità aggregante? E nei giorni in cui non si può cercare l’unità attraverso un nemico comune? Non è più tempo di morti ammazzati e di carne da macello. Essere patriottici significa, forse, sottolineare ciò che unisce una comunità umana. E significa scoprire i valori condivisi. Ma condivisi per davvero. E comporta, ancora, applicarsi costantemente nel dialogo pacifico tra le forze sociali e quelle politiche. Patriottismo è cercare di costruire un futuro di felicità per tutti. È rispetto per ogni “compatriota”. Patriottismo implica il rispetto delle regole. E della libertà di tutti. E significa, ancora, cercare di non imporre verità assolute, dogmi apodittici. E magari essere patriottici impone di non urlare e non coltivare l’odio come sentimento dell’azione politica. Ecco: il patriottismo di questi anni dieci, a un secolo esatto dai tempi del patriottismo guerrafondaio, non può che essere pacifico e libertario. E chi, oggi, si dice di destra, fa politica da destra, non può che affermare questa realtà piccola piccola. Per essere di destra (e patriottici) bisogna, ogni giorno, mettere in discussione l’idea che esistano una destra e una sinistra l’una contro l’altra armate, divise in un’eterna guerra civile. Chi non lo fa, chi scommette sulle divisioni, chi difende una sola parte, chi vive “incazzato e con la bava alla bocca”, chi non “dà tregua”, per favore, abbia almeno il coraggio di definirsi in un altro modo. E, soprattutto, lasci stare la retorica del tradimento e continui, ottusamente, ad abbaiare alla luna. O al nemico di turno. Senza sporcare parole che, per fortuna, hanno ancora qualche significato.

(fonte: Ffwebmagazine - Un nuovo patriottismo, libertario pacifico e inclusivo)

sabato 9 gennaio 2010

Il Presidente Italiano (ovvero il berlusconismo)

Puerta del Angel pictures in collaborazione con spiritiliberali.blogspot.com presenta una raccolta di canzoni e programmi satirici provenienti da tutto il mondo riguardanti il Presidente Silvio Berlusconi. Il risultanto è inquietante.

Prima Parte: Germania, Egitto, Spagna, Francia.



Seconda Parte: Inghilterra, Russia, Messico, Svezia.

martedì 5 gennaio 2010

Vaccini in saldo: la truffa dell’influenza A (e l’ipocrisia dei media)


23.160.000 (ventitrèmilionicentosessantamila): non è l’importo di un vecchio assegno in lire, bensì il numero di dosi di vaccino per l’influenza A inutilizzate in Italia, a fronte di un acquisto da parte del Governo di 24 milioni di unità. A poco più di due mesi dal picco di allarmismo di fine ottobre – inizio novembre, l’influenza suina si è rilevata per quella che già sapevamo essere (vedasi l’articolo di Spiriti Liberali del 4 novembre 2009, “L’incredibile influenza A. Disinformazione mediatica e business”): una colossale truffa imbastita da OMS e case farmaceutiche, favorita da governi compiacenti e da un’enorme campagna di manipolazione informativa che definire criminale è doveroso e giusto. Il procurato allarme è infatti in Italia un reato, previsto dal codice penale all’art. 658.
Nel nostro Paese l’influenza A ad oggi è stata (con)causa di 193 decessi, a fronte delle circa 8.000 (!) morti provocate ogni anno dalla normale influenza. In tutto il mondo le vittime della suina sono 12.200, 10.000 solo negli USA.
In Italia abbiamo usato un trentesimo dei vaccini acquistati a caro prezzo (7.90 euro a dose, contro i 4 euro del semplice vaccino stagionale) soprattutto dal gigante farmaceutico Novartis, sulla base di un contratto che la Corte dei Conti per poco non ha definito vessatorio.
Tuttavia l’Italia non è sola, ma ben accompagnata, anzi si può dire che ci poteva andare peggio: la Francia ha comprato 94 milioni di dosi per una popolazione di 65 milioni di persone. Pensavano di dover somministrare due dosi a testa e quando hanno capito che una dose sufficiente era troppo tardi, perché l’ordine di acquisto era già stato inoltrato. Per questo ieri Giovanni Rezza, direttore delle malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, si permetteva di dire che il nostro è stato tra i Paesi più cauti nell’acquisto del vaccino.
Inghilterra, Spagna, Paesi Bassi, Germania sono più o meno in situazioni simili; così l’Europa si ritrova oggi a dover rifilare a qualcuno centinaia di milioni di vaccini inutilizzati. Hanno quindi aperto trattative verso paesi come Messico, Moldavia, Ucraina, Kosovo, Maldive e Mongolia.
Si salva la Polonia, la quale si rifiutò di acquistare i vaccini: “il nostro Stato è molto saggio, i polacchi sanno distinguere la verità dalla truffa” afferma il Ministro della salute polacco Ewa Kopzac.
Che sia stato tutto programmato trova riscontro anche da come l’OMS a inizio 2009 abbia cambiato la definizione di “pandemia”, eliminando il criterio dell’”enorme numero di morti”. Che l’influenza A sia stato solo un immenso business è ormai sotto gli occhi di tutti. Repubblica ieri riportava un bel approfondimento sul tema: peccato però che quando era il momento di svelare la truffa, anche questo giornale abbia pensato più alle proprie vendite, accodandosi alla generalità dei media attraverso una macabra conta di morti sbattuti tutti i giorni in prima pagina.

(vignetta di Fifo)

venerdì 1 gennaio 2010

Quale onore per Craxi?


“Garibaldi è stato condannato a morte, Giordano Bruno bruciato sul rogo, eppure a loro sono state dedicate vie e piazze: la storia ti dà delle riletture diverse delle personalità”: è questo un passo dell’intervista diffusa su Youtube nella quale Letizia Moratti difende la sua proposta di dedicare una via od un parco di Milano a Bettino Craxi per “superare le divisioni” riguardo la figura dello statista italiano. A parte la stupidità dell’accostamento delle figure di Garibaldi (condannato per aver organizzato una rivolta popolare in Savoia nel 1834) e Giordano Bruno (condannato dall’Inquisizione cattolica per eresia nel 1600) a quella di Craxi, ciò che della querelle deve preoccupare non è la possibilità in sé di dedicare una via a tale persona, bensì il tentativo di riscrivere la storia che le sta intorno.
Craxi durante i suoi governi è stato autore di importanti riforme, quali il nuovo concordato con la Santa Sede del 1984 e la modifica della Scala Mobile (il vecchio sistema di aggiornamento automatico della retribuzione da lavoro dipendente). Inoltre la sua attenzione per le cause dei paesi in via di sviluppo gli procurò nel 1989 il ruolo di rappresentante del segretario generale Peréz de Cuéllar. Tuttavia il giudizio storico sulla figura dell’ex leader del Psi non può prescindere dalla valutazione anche e soprattutto dei suoi misfatti. Chi ricorda agli italiani che Craxi fu condannato per corruzione a 5 anni e 6 mesi (tangenti Eni-Sai) e per finanziamento illecito a 4 anni e 6 mesi (tangenti Metropolitana milanese) non può essere tacciato di essere un “predicatore d’odio” perché questi sono i fatti: Bettino Craxi fu condannato due volte in via definitiva (altri processi a suo carico si estinsero per morte del reo) e fuggì in Tunisia per non scontare le pene inflittegli, morendovi latitante, non "esule", nè "vittima".
“Celebrare Bettino Craxi non significa soltanto compiere una doverosa opera di risarcimento morale: per la sua famiglia e la sua comunità politica. Significa restituire l'onore, insieme, ad un politico lungimirante ed al suo Paese” dice il ministro Frattini da ex membro del Psi. Le sentenze dicono che Craxi intascava per “interessi propri, politici e non politici” le tangenti destinate ai finanziamenti illeciti del Psi. Insomma: intascava per sé enormi quantità di denaro in cambio di favori.
Quale onore tributare allora ad un politico che ha avuto sì il coraggio di assumersi alcune delle sue responsabilità, ma solo in Parlamento nel suo famoso discorso del 3 luglio 1992 (“Basta con l'ipocrisia!, tutti i partiti si servono delle tangenti per autofinanziarsi, anche quelli che qui dentro fanno i moralisti!"), per poi fuggire di nascosto nel maggio del 1994 al sole di Hammamet, protetto dal suo amico Ben Alì (Presidente dal 1987 della Tunisia, rieletto nel 2009 con l’89,62% dei voti, molto amato dal popolo)?
Come fa giustamente osservare Bruno Tinti, “se fosse stato davvero un grande statista, avrebbe affrontato i processi, sarebbe stato un collaboratore di giustizia, avrebbe contribuito in maniera decisiva al risanamento etico e giuridico della classe politica italiana”. Il cattivo esempio di Craxi viene oggi seguito da molti: ormai solo in una utopica Italia è possibile avere politici che smettano di essere giudici dei loro giudici o biografi della loro storia, affrontando le responsabilità derivanti dai loro reati.

(immagine: soldati di Annibale con elefanti ad Hammamet, Tunisia)