domenica 24 gennaio 2010

Se la Cina ha paura di Avatar


Che Avatar sia un film importante lo si capisce più che dal record di incassi dal fatto che la Cina stia cercando di limitarne la diffusione. I vertici della Propaganda hanno infatti deciso il ritiro dalle sale di quasi tutte le copie dell'ultima pellicola di James Cameron. Il motivo? Fare spazio al colossal cinese Confucius, film nazionalista che continua il filone legato alla rivoluzione culturale iniziata già da Mao. L'intento è chiaro: lasciare la strada libera alla riscrittura romanzata della vita del filosofo cinese, secondo un preciso fine di indottrinamento. Via quindi il film occidentale e sobillatore. Sì, perchè chi di dovere è riuscito a leggere nel film le allusioni alla Cina, ai suoi problemi di scontri etnici (Tibet, Uiguri del Xinjiang), ma soprattutto agli sfratti forzati di massa.
Molti cittadini cinesi infatti si riconoscono negli abitanti di Pandora, i Na'vi, i quali subiscono la distruzione della loro casa (l'albero sacro) ad opera degli umani. Lo stesso accade in Cina, dove gli umani sono paragonabili agli "chengguan", gli scagnozzi dei grandi costruttori di grattacieli che intimidiscono i proprietari e procedono agli sgomberi. Il rischio è quindi che la gente reagisca come nella pellicola: con la ribellione.
L'importanza di un film come Avatar la si evince anche da questo, ma non solo. La spasmodica ricerca che nel film la razza umana compie al fine di ottenere l'unobtanium non è assimilabile ad altre che avvengono nel mondo reale ogni giorno per cercare il petrolio in Sudan, l'uranio in Niger o l'oro in Congo, le quali comportano l'utilizzo degli eserciti (regolari o no), spesso per proteggere gli interessi delle multinazionali?