domenica 31 ottobre 2010

Idee per un nuovo Secolo


A prescindere da come si concluderà nel breve periodo la fastidiosa vicenda che sta mettendo a rischio l’esistenza stessa di una testata storica come il Secolo d’Italia, ciò che appare chiaro è che il futuro riserverà in ogni caso grandi cambiamenti al quotidiano di via della Scrofa. Sarà inevitabile recidere i legacci che ora lo tengono stretto anche a chi lo considera sprezzantemente come “un house organ e non un giornale di destra” (La Russa). In verità il Secolo d’Italia non è il mattinale di Futuro e Libertà: semmai è Fli che sta concretizzando nella sua azione idee e prospettive anticipate dal Secolo. In questo senso la politica del quotidiano si è rivelata assolutamente vincente: l’idea di portare in edicola un giornale post-An, anticonformista e capace di riconoscere e valorizzare le ragioni degli altri, ha consentito di raddoppiare i lettori.
Il Secolo è diverso dagli altri giornali “di destra”, perché è l’unico che, nel suo piccolo, ha avuto la volontà e la capacità di assumere il ruolo di avanguardia culturale per provare a delineare un nuovo futuro. Ancora oggi si parla spesso di egemonia culturale della sinistra: bisogna ammettere che a leggere Il Giornale, Libero o La Padania, essa è pienamente giustificata. Quello diretto da Flavia Perina è l’unico quotidiano che prova a scardinare quegli schemi preimpostati che assegnano alla cultura di destra un valore minoritario.

venerdì 29 ottobre 2010

Voce del verbo "bunga bunga"


Dal Grande Dizionario Illustrato Italiano-Berlusconiano, Zanichelli, 2010.
Bunga bunga [vc. dotta, dal gheddafiano unga bunga] s. f. (med.). 1. Viene chiamata in questo modo l'abitudine del padrone di casa d'invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico. Donna Ruby racconta che Silvio disse che copiò la formula del "bunga bunga" da Gheddafi, il quale introdusse per primo tale rito del suo harem africano.
2.  Gioco onomatopeico che al di là del senso del grottesco, "viene descritto da Ruby agli esterrefatti pubblici ministeri milanesi con molta vivezza, addirittura con troppa concreta vivezza" (la Repubblica). Si diffonde nelle modalità del sexy e maschilista cerimoniale che è stato raccontato da Mu'ammar Gheddafi e importato tra le risate ad Arcore. La stessa Donna Ruby indica che cosa si faceva e chi lo faceva con un lungo elenco di nomi celebrati e popolari, in televisione o in Parlamento.
3. Brutale stupro anale, inflitto come forma di punizione a chi oltrepassa i territori delle tribù (Urban Dictionary). Si tramanda a tal riguardo la canzone "Silvio (o altro nome di fantasia) ballava nudo al centro della tribù, ma da quando l'ha preso in c**o, Silvio (o altro nome di fantasia) non balla più".
v. tr. Fare bunga bunga, di solito in compagnia, oltre che di giovani avvenenti veline cubiste igieniste dentali ora consigliere regionali, anche di Lele Mora ed Emilio Fede, "ma se non stai attento vai in galera per colpa dell'Af(r)ica" (Elio e le Storie Tese).

giovedì 21 ottobre 2010

La finestra di CasaPound


Il loro simbolo è la tartaruga: un animale che ha la fortuna di portare sempre con sé la propria casa, perché chiunque dovrebbe averne una. Loro sono i ragazzi di CasaPound, che un libro uscito da poco (Nessun dolore, Domenico Di Tullio, Rizzoli) si è preso il dovere di raccontarci da dentro, riuscendoci molto bene. Il romanzo, scritto dall’avvocato penalista che segue da sempre l’associazione, riesce a portarci nel mezzo di un ambiente che è difficile immaginare da fuori, se non affidandosi ai propri pregiudizi. 
E proprio un grande pregiudizio il libro vuole sfidare: quello di chi dipinge CasaPound solamente come un “covo di fasci”, violenti per ipotesi e sempre primi ad attaccar briga. Dalle pagine del romanzo traspaiono invece idee, valori, cultura e tanta vita. I “blocchetti” manifestano e protestano, ma non si fermano a parlare male di una cosa, non si limitano a criticare senza provare a cambiarla. Impegnarsi per abbattere lo status quo significa elaborare proposte e progetti. Non si tirano indietro dall’omaggiare personaggi storicamente di sinistra come Che Guevara, o Rino Gaetano: “diranno che cerchiamo di arraffare un’icona della contestazione, che vogliamo consumare la solita appropriazione indebita di roba loro. È esattamente il contrario: siamo così forti e sicuri di quello che sentiamo che, se vediamo una battaglia buona dall’altra parte, abbiamo il coraggio e l’umiltà di riconoscerla e indicarla pure ai nostri”.

lunedì 18 ottobre 2010

Tessera del tifoso: solo marketing


La questione ormai non tocca solo le curve, ma abbraccia la maniera di intendere il calcio in Italia in modo trasversale. Non sono stati solo gli appartenenti al mondo del pallone a criticare l’iniziativa del ministro leghista Maroni (da Lippi a Zamparini): le lamentele sono arrivate anche da dentro il Parlamento. Paola Frassinetti, Maurizio Paniz e Antonio Buonfiglio, tutti deputati del Pdl, hanno criticato infatti in maniera anche decisa la tessera del tifoso, difendendo le posizioni delle curve, “l’anima del tifo” allo stadio.
Tuttavia l’analisi più interessante della situazione è arrivata dal giornalista e scrittore Maurizio Martucci (ultima pubblicazione: Cuori Tifosi, Sperling & Kupfer, 2010), il quale ha descritto al Secolo d'Italia il provvedimento di Maroni come una complessa operazione di marketing. Innanzitutto il primo falso argomento da confutare è che all’estero le tessere del tifoso siano come quelle che si vogliono introdurre in Italia: “all’estero il modello è esattamente il contrario di quello voluto dal ministro Maroni e dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive – dice Martucci – perchè in Germania, Portogallo, Spagna e Inghilterra la tessera del tifoso non è obbligatoria ma facoltativa. Viene vissuta come un privilegio, non come un’imposizione calata dall’alto: non è necessaria per abbonarsi allo stadio. Non è una carta di credito e nemmeno una carta ricaricabile”.

giovedì 14 ottobre 2010

La Serbia ha sempre ragione


Per capire cosa sarebbe potuto accadere se gli eventi di Genova fossero degenerati in scontri cruenti, bisogna fare un salto indietro con la memoria al 17 settembre 2009: a Belgrado si giocava la partita di Europa League tra il Partizan e il Tolosa. Brice Taton, tifoso della squadra francese, venne aggredito con alcuni suoi connazionali da un gruppo di ultras serbi. Morì dopo dodici giorni, il 29 settembre 2009, a causa delle ferite riportate.
Sinceramente non capisco chi dice che martedì sera il calcio ha perso, solo perché non si è giocato una partita. Quando è a rischio la sicurezza pubblica e la vita stessa sia dei tifosi che degli agenti di polizia, coerenza ed esperienza ci dicono che la sospensione di una partita è il prezzo minore che deve essere pagato al bene superiore dell'integrità fisica e della vita umana. Il fatto che gli ultras serbi abbiano ucciso un tifoso straniero solo un anno fa in occasione di un’altra partita di livello internazionale forse non è stato ricordato abbastanza.
La violenza nel calcio serbo e balcanico è un fenomeno costante che è esploso con i conflitti armati nei Balcani e la disgregazione della vecchia Federazione jugoslava, unitamente al rafforzarsi dei sentimenti nazionalisti. Le tifoserie di Partizan e Stella Rossa sono tra le più violente al mondo, e uniscono le loro forze in occasione degli incontri della nazionale serba.

martedì 12 ottobre 2010

Bene o male, purché se ne parli


Sono anni che il meglio degli opinionisti politici ci dice che attaccare Silvio Berlusconi sfruttando le inchieste giudiziarie e gli scandali personali è inutile, perchè ciò gli consente di presentarsi come una vittima giustificando gli attacchi che subisce come prove di un disegno eversivo che accomuna toghe rosse e giornali comunisti. Questa visione è condivisa da molti, sia giornalisti che politici, tanto che per riuscire a batterlo si viene sempre consigliati di portare il Cavaliere sul campo di battaglia delle proposte e delle idee (cosa che la sinistra spesso e volentieri non è riuscita a fare, perdendo tre volte).
Oggi che il governo Berlusconi perde consensi e che in due anni è riuscito a fare poche o nulle riforme liberali (vedasi l’Indice delle Liberalizzazioni 2010 a cura dell’Istituto Bruno Leoni), impegnato tra lodi alfano e leggi anti-intercettazioni, qualcosa sembra essersi rotto, forse proprio perché qualcuno all’interno del centro-destra ha portato il dibattito dal piano degli attacchi personali a quello delle idee.
Intanto il continuo crescere di credibilità del presidente della Camera si spiega con la creazione di un vasto movimento culturale (dalla Fondazione FareFuturo a Libertiamo) i cui esponenti rappresentano i suoi uomini più fidati e consiglieri politici. Se da una parte c’è chi scende, dall’altra c’è chi sale: ma allora non è che quella legge non scritta che sconsigliava gli attacchi personali stia ora soffiando a favore di Fini, come prima fece per Berlusconi?

domenica 10 ottobre 2010

Per la pace non ci sono sbarre


Per la pace non ci sono sbarre che tengano. Dopo il passo falso dello scorso anno, con la consegna di un Nobel assai prematuro a Barack Obama, l'Accademia ha quest'anno centrato il premio, consegnandolo al dissidente cinese Liu Xiaobo. "Un'oscenità" secondo il Partito Comunista Cinese. Una prova di coraggio, secondo noi. Un coraggio che forse manca a tanti governi occidentali, sempre più timorosi a sfidare il gigante-mercante.

(vignetta di Forges)

venerdì 8 ottobre 2010

Scherzare col fuoco


Nicola Porro scherzava. Rinaldo Arpisella un po’ meno. Emma Marcegaglia per nulla.
A prescindere da quelle che saranno le conseguenze penali dell’inchiesta avviata dalla Procura di Napoli nei confronti di Nicola Porro e Alessandro Sallusti (Vittorio Feltri l’ha scampata essendosi dimesso da direttore giusto un paio di settimane fa per gli strascichi della sospensiva dell’Ordine nei suoi confronti), ciò che appare chiaro è che la macchina del fango era pronta a partire un’altra volta, questa volta contro la presidenta di Confindustria, rea di aver rilasciato un’intervista al Corriere della Sera fortemente negativa nei confronti del Governo. “Non ha… non sembra berlusconiana..., è una stronza”: nelle parole del vicedirettore del Giornale troviamo la giustificazione alla reiterazione del trattamento Boffo. È sempre così: chi critica il capo deve essere screditato, punito. E non si guarda in faccia a nessuno. 
“Domani super pezzo giudiziario sugli affari della family Mercegaglia”, “Adesso ci divertiamo per venti giorni, romperemo il cazzo alla Mercegaglia come pochi al mondo”, “Spostati i segugi da Montecarlo a Mantova”: da Gianfranco Fini ad Emma. Lo stile feltriano è questo, signori. E poco importa che il trattamento non sia infine entrato in funzione anche per lei: il fatto che esso sia stato bloccato tramite l’intercessione di Fedele Confalonieri (terzo braccio del nostro Premier) richiesta dalla signora di Confindustria, dimostra che tutte le storielle del tipo “Feltri fa quello che vuole; mi fa più male che bene; io non ho potere sul Giornale” sono appunto solo storielle. Il Giornale è un manganello da usare contro chi dissente.

lunedì 4 ottobre 2010

Gli xenofobi di casa nostra


“Lo sapete che in ogni Paese occidentale esiste un partito xenofobo, ma in nessuno è al governo? Sapete che la destra francese ha perso le presidenziali dell’81 e dell’88 e perderà quelle del 2012, pur di non allearsi con gli xenofobi? E che Cameron non si sognerebbe mai di allearsi con il British National Party?”. Aldo Cazzullo dalle colonne di Sette ci invita a riflettere sulle scorrettezze della politica nostrana, e in particolare sulle problematiche che comporta avere al governo un partito come la Lega Nord che dopo vent’anni di vita continua a parlare principalmente alla pancia dei cittadini.
In questi ultimi mesi hanno suscitato clamore le notizie giunte dall’Olanda e dalla Svezia, dove partiti xenofobi di estrema destra hanno ottenuto grandi risultati elettorali sfruttando “la paura del diverso”. Ai problemi dell'immigrazione e della sicurezza rispondono con il richiamo alle armi per una nuova crociata contro la "rivoluzione islamica". Nei Paesi Bassi il Partito della Libertà (lì Pvv) del biondissimo Geert Wilders è decisivo nell’appoggiare esternamente la coalizione di governo formata da liberal-conservatori e cristiano-democratici, mentre a Stoccolma l’estrema destra della Sverigedemokraterna è entrata per la prima volta in Parlamento superando ampliamente lo sbarramento del 4%. Queste formazioni si contraddistinguono per le posizioni fortemente anti-islamiche e il loro vincente mix di populismo e xenofobia è il medesimo che in Italia viene cavalcato dal partito di Umberto Bossi.

sabato 2 ottobre 2010

Il Venezuela dice no a Chávez


Il Venezuela ha detto no. Il progetto di Hugo Chávez di trasformare il Paese in uno Stato socialista deve fermarsi. Il 52% dei venezuelani ha infatti votato per le opposizioni riunite sotto il cartello di Unidad Nacional. L’opposizione può così ora affermare di essere la maggioranza, seppur avendo formalmente perso le elezioni: su 165 seggi, ne sono stati attribuiti 95 al governo e 64 all’ opposizione, con 6 ancora da definire. Il sistema elettorale infatti in Venezuela favorisce chi vince nelle zone meno popolose e più povere, quali quelle amazzoniche, da sempre fortino del Psuv, il partito socialista unitario di Chávez. Recenti modifiche hanno accentuato queste caratteristiche e reso la vita ancora più difficile all’opposizione, la quale comunque è riuscita a mettere in minoranza il chavismo alla conta dei voti popolari. Il segnale dato resta fortissimo: Chavez dovrà fare qualche passo indietro, ma sicuramente non rinuncerà a perseguire il suo obiettivo. 
Marina Corina Machado, 43 anni, esponente dell’opposizione è però fiduciosa e ha commentato così il risultato elettorale: “il Venezuela ha detto no al comunismo, alla trasformazione di un Paese democratico in una nuova Cuba, verso un sistema economico fuori dal tempo. Quando la domanda è chiara, se la gente preferisce una società militarista e antagonista oppure aperta e democratica, il Venezuela non ha dubbi. Sapevo che eravamo maggioranza e il voto l’ ha dimostrato, nel mezzo di tutti i trucchi e le omissioni del governo”.