mercoledì 25 agosto 2010

L'importanza di chiamarlo "Caimano"


In principio fu il film di Moretti del 2006: il termine “caimano” entrò per la prima volta nelle sale cinematografiche per indicare Silvio Berlusconi, ma non fu un successo. Chi si aspettava una lunga e appassionata cavalcata delle valchirie contro il berlusconismo rimase deluso. Scontenti furono anche quelli che nel film di Moretti videro niente di più che una commedia (come peraltro annunciato dal regista), con i blocchi dedicati al Presidente a spuntare il contenuto invece di arricchirlo. Invero le sfortunate vicende familiari del simpatico Silvio Orlando appassionavano molto più delle riflessioni sul Premier. 
Quattro anni dopo però il termine “caimano” sembra ormai sdoganato. Non occorre per forza leggere la Repubblica o il Fatto: anche su quotidiani come Corsera e Stampa ogni giorno è possibile trovare parole come “caimano”, “regime”, “dittatore” in riferimento alla politica di Berlusconi. Ma che significato dare alla diffusione di questa terminologia anche tra i giornalisti e gli intellettuali più moderati? Negli ultimi mesi abbiamo dovuto assistere ai violenti attacchi dei falchi berlusconiani contro ogni forma di dissenso, sia politico che culturale. Il caso Boffo è individuabile come lo spartiacque: in quel momento molti cattolici e moderati si sono resi conto di essere di fronte a persone disposte a tutto pur di far tacere il dissenso e le critiche. 
Nelle ultime settimane e giorni il metodo Boffo è diventato regola. Alle delusioni e preoccupazioni espresse da Montezemolo o Famiglia Cristiana non abbiamo visto rispondere sul piano dei contenuti, ma solamente su quello degli sberleffi (“scenda in politica”), e degli insulti volgari (“questa è pornografia”). L’epico dossieraggio condotto dal Giornale della famiglia Berlusconi contro il presidente Fini e le costanti critiche e accuse rivolte al Presidente della Repubblica ci mostrano il volto aggressivo del Pdl, quello che rifiuta ogni dialogo. Quello del Caimano.

martedì 10 agosto 2010

Vietato vietare la musica


Verona. Il sindaco leghista Flavio Tosi nega a Morgan l’autorizzazione per il concerto del 4 settembre all' Arena. Questo perché "uno che si vanta di fare uso di cocaina perché è depresso e lo dice apertamente, non può venire ad intrattenere il pubblico veronese dal momento che il suo è un messaggio altamente diseducativo per i giovani". Proviamo a prescindere sia dai precedenti del sindaco Tosi (condannato dalla Cassazione a a 4 mila euro di multa e alla sospensione per tre anni dai pubblici comizi per istigazione alla discriminazione razziale) sia da quella famosa e contestata intervista in cui Morgan ammise di aver fatto uso di cocaina. Il dato che ci rimane è che siccome il sindaco della città di Verona ritiene l’artista in questione “un esempio negativo per i giovani” viene cancellato un concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra di Ravel e tutto il resto dello spettacolo, composto da una parte del repertorio di Morgan mixato con brani di Nino Rota, Tenco, Bindi e De André.
De André. Chissà cosa direbbe oggi Fabrizio della decisione del sindaco Tosi.
Questo noi oggi non lo possiamo sapere, ma sappiamo invece che l’esempio negativo in questa vicenda non lo dà Morgan, bensì il primo cittadino veronese. Perché quando si vieta la musica, non si può mai avere ragione. I giovani lo sanno, e sanno anche scegliersi da soli i loro esempi e punti di riferimento. Non hanno bisogno del paternalismo populista e autoritario del sindaco leghista. Non si fanno abbindolare dai falsi moralisti.