mercoledì 24 marzo 2010

Autoriciclaggio, il reato fantasma


In Italia chi vende droga e rimette in circolo il denaro guadagnato può essere punito per il traffico di stupefacenti ma non per aver riciclato i proventi illeciti ottenuti. Il reato di autoriciclaggio infatti non è ancora previsto dal nostro codice penale. 
Sembra che tutti siano favorevoli alla sua introduzione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze nel luglio del 2009 afferma infatti che “la punibilità dell'autoriciclaggio è opportuna sia dal punto di vista dell'architettura giuridica, sia quale strumento per gli investigatori ed i magistrati” e “la rilevanza assegnata dagli standard internazionali alla punibilità dell'autoriciclaggio conferma la necessità di introdurre tale reato nell'ordinamento penale italiano”. Il Fondo Monetario (fin dal 2005), il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi (audizione presso il Senato del 15 luglio 2008) e il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso ne auspicano da anni l’introduzione, ma al momento il disegno di legge che lo prevede è sepolto in un cassetto. L’autoriciclaggio è presente da tempo in paesi come gli USA e la Svizzera, mentre abbastanza recentemente è stato introdotto in Francia. La Cassazione inoltre si trova in difficoltà ad aggirare l’ostacolo dell’assenza di tale fattispecie. Un esempio storico è quello di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, che durante il suo processo per concorso esterno in associazione mafiosa non fu imputabile per il riciclaggio del denaro accumulato grazie alle sue relazioni con la mafia. Non solo: un importante ambito di utilizzo del reato di autoriciclaggio si avrebbe anche nella lotta all’evasione fiscale.

domenica 21 marzo 2010

Le regionali non sono un referendum su Berlusconi


Parlando ieri sera con alcuni amici si rifletteva su come sia difficile oggi per una persona intelligente che pensa, interpreta, capisce la politica andare a votare. Chi ci tiene al proprio voto - quando non è un militante - si fa  davvero un sacco di pare. SSssSShhhhhkkklllllpopoerwphhhSi interroga se debba votare per convenienza o per principi, per punire un dato partito o per lanciarne un altro, per limitare il potere di una fazione o per la persona che sembra più sincera.
Gli indecisi dovrebbero essere la categoria verso la quale puntare la campagna elettorale. Attraverso promesse, programmi, risultati ottenuti. In questa campagna elettorale però di programmi se ne sono visti pochi assai. Berlusconi l’ha trasformata nell’ennesimo referendum pro o contro la sua persona, consapevole di aver portato a casa pochi risultati da quando è tornato al governo, limitandosi a congelare la situazione.
Che in Italia fosse difficile parlare di cose serie, soprattutto durante i periodi elettorali, si sapeva già. Ma questa volta si è sinceramente esagerato. I processi al Premier, i casi di corruzione e il caos liste hanno azzerato il dibattito sui temi di cui la politica dovrebbe occuparsi. Di idee di riforma sentiamo solo quelle sulla giustizia, finte. Parlare in maniera costruttiva di crisi economica, sussidi ai lavoratori, riforma della scuola, riduzione dei costi della politica, riforme sociali, etc. sembra diventata roba da nerd.
Segnali che gli italiani siano stanchi di questa situazione per fortuna ce ne sono molti. Il problema è che non sanno più a che santo votarsi. Cresce quindi la voglia di voti di protesta, smaccatamente antipolitici (Idv, Movimento 5 stelle, in parte Lega Nord), schede bianche e astensioni.
Personalmente sono sempre per andare a votare, qualunque cosa succeda, perché è con il voto che il cittadino fa sentire veramente la sua voce. Ed è una voce che decide.
Ricordiamoci che queste sono elezioni regionali. Bisogna decidere chi governerà un ente che sembra destinato in futuro a svolgere compiti sempre più importanti e determinanti per la vita della comunità. Insomma, il voto è una cosa seria. Non un referendum su Berlusconi.

(immagine: il ministro Brunetta alla manifestazione del Pdl di ieri)

giovedì 18 marzo 2010

Il caso Englaro. Tra teologia e diritto.


Studiando a più di un anno di distanza l’affaire Englaro e le tematiche giuridiche, teologiche e morali che lo hanno contrassegnato ho cercato di individuare quei nodi fondamentali che hanno reso possibile che intorno alla triste vicenda di questa ragazza si fomentasse un dibattito così grande da provocare interventi sia delle massime cariche politiche italiane che religiose della Chiesa cattolica.
Il tempo trascorso consente di avvicinarsi a questo caso con oggettività senza rischiare di essere influenzati da quell’emotività che può provocare una ferita ancora aperta.
Credo che intorno alla vicenda di Eluana si possano raccogliere tre tematiche distinte sulle quali l’opinione pubblica, scientifica e religiosa si è trovata un anno fa a dibattere. Queste sono:
1) Il concetto di eutanasia e la qualificazione dell’alimentazione forzata come cura medica o meno.
2) Il concetto di morte naturale alla luce dello sviluppo medico-scientifico moderno.
3) Il precetto della indisponibilità della in base al magistero della Chiesa cattolica.
Partendo dal primo punto, come si ricorderanno, nel commentare la vicenda di Eluana Englaro molte trasmissioni televisive di approfondimento giornalistico si soffermarono ore e ore a discutere se l’alimentazione forzata potesse considerarsi una terapia medica. A prescindere dal modo col quale fu affrontata la questione, essa è centrale per comprendere la sentenza n. 21748/2007 della Corte di Cassazione con la quale si autorizza il padre di Eluana ad interrompere l’alimentazione e le critiche mosse a questa dalla Chiesa cattolica.

lunedì 8 marzo 2010

Le foibe e il negazionismo di certa sinistra


Su facebook capita ormai di trovare di tutto: molti gruppi o pagine di cattivo gusto, a volte al limite del codice penale, a volte oltre. Non è quest’ultimo il caso, ma nelle vicinanze del giorno della memoria delle foibe (fissato nel 2004 al 10 febbraio) un post apparso sulla bacheca mi infastidì davvero tanto. Esso riportava una foto del maresciallo Josip Broz Tito (dittatore della ex Jugoslavia dal 1945 al 1980, anno della sua morte) con alcuni suoi ufficiali ed era guarnita di una didascalia:
“TITO VIVE!!! Giornata del ricordo = REVISIONISMO. Sulle FOIBE un mare di palle: nessuna pulizia ma solo un po' di giustizia antifascista.”
Nel merito è facile contestare il contenuto dello slogan: vittime delle foibe e più in generale delle esecuzioni jugoslave non furono solo militanti fascisti, ma anche “preti, antifascisti e addirittura membri del Comitato di liberazione nazionale” (Gianni Oliva, Foibe, 2002). Gli infoibati ebbero tutti una colpa comune: l’essere italiani.
Non sono uno storico né un giornalista che vuole fare lo storico e per questo mi limito a citare anche un passo di Arrigo Petacco e del suo libro più importante, l’Esodo, che già nel 1999 affrontava la tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia:

giovedì 4 marzo 2010

L'ignoranza è forza (il "bavaglio" sdoganato)


I primi a parlare di “bavaglio” furono Gomez, Lillo e Travaglio nel loro libro omonimo del 2008. A due anni di distanza la parola è sdoganata dai maggiori quotidiani nazionali. Due giorni fa usciva sul Corriere della Sera un articolo di Aldo Grasso dal titolo “Il bavaglio preventivo”. Nel commentare la decisione dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) di estendere anche alle reti private il regolamento emesso dal Cda della Rai che vieta la messa in onda delle trasmissioni di approfondimento la firma del Corriere abbandona i suoi soliti toni moderati e non usa mezze misure: “se non è un atto di censura, è qualcosa che molto le assomiglia”, “corriamo il serio rischio che alcuni elementari principi delle democrazie rappresentative vadano a farsi benedire”, “per evitare i piagnistei sul minutaggio ci ritroviamo in un clima di sovietismo mediatico”.
L’editto del Garante non fa parlare solo di bavaglio, ma anche di “regime”. Per Emilio Carelli, ex mezzobusto del Tg5 ora direttore di SkyTg24, “in Italia c’è un problema di democrazia”; inoltre “la mossa dell’Agcom è incostituzionale perché limita la libertà di espressione”. La beffa tutta italiana è che in questo caso siamo di fronte ad una autorità amministrativa che più che essere un Garante è in realtà un Censore delle Comunicazioni, nominato direttamente dal Presidente del Consiglio.