giovedì 18 marzo 2010

Il caso Englaro. Tra teologia e diritto.


Studiando a più di un anno di distanza l’affaire Englaro e le tematiche giuridiche, teologiche e morali che lo hanno contrassegnato ho cercato di individuare quei nodi fondamentali che hanno reso possibile che intorno alla triste vicenda di questa ragazza si fomentasse un dibattito così grande da provocare interventi sia delle massime cariche politiche italiane che religiose della Chiesa cattolica.
Il tempo trascorso consente di avvicinarsi a questo caso con oggettività senza rischiare di essere influenzati da quell’emotività che può provocare una ferita ancora aperta.
Credo che intorno alla vicenda di Eluana si possano raccogliere tre tematiche distinte sulle quali l’opinione pubblica, scientifica e religiosa si è trovata un anno fa a dibattere. Queste sono:
1) Il concetto di eutanasia e la qualificazione dell’alimentazione forzata come cura medica o meno.
2) Il concetto di morte naturale alla luce dello sviluppo medico-scientifico moderno.
3) Il precetto della indisponibilità della in base al magistero della Chiesa cattolica.
Partendo dal primo punto, come si ricorderanno, nel commentare la vicenda di Eluana Englaro molte trasmissioni televisive di approfondimento giornalistico si soffermarono ore e ore a discutere se l’alimentazione forzata potesse considerarsi una terapia medica. A prescindere dal modo col quale fu affrontata la questione, essa è centrale per comprendere la sentenza n. 21748/2007 della Corte di Cassazione con la quale si autorizza il padre di Eluana ad interrompere l’alimentazione e le critiche mosse a questa dalla Chiesa cattolica.
La Cassazione nelle motivazioni della sentenza dice infatti che “non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscano un trattamento sanitario”. Tale affermazione è supportata dalla maggioranza delle opinioni degli studiosi di settore. 
L’eutanasia (letteralmente buona morte, dal greco ευ-, bene e θανατος, morte) è quella morte non dolorosa provocata in caso di prognosi infausta e di sofferenze ritenute intollerabili. Essa consiste quindi nel procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica. Può essere attiva, quando è indotta per somministrazione di determinate sostanze, o passiva, per sospensione del trattamento medico. Se quindi la Cassazione non considera l’alimentazione forzata attraverso il sondino nasogastrico alla stregua di un trattamento medico, la sua conclusione è non considerare quello della ragazza un caso di eutanasia. Dal punto di vista giuridico però il problema più grande che dovette affrontare la Cassazione non fu questo, bensì la ricostruzione della volontà di Eluana, contraria all’accanimento terapeutico secondo le testimonianze di amici e parenti. 
Per la Corte è stato infatti estremamente difficile trovare un appiglio giuridico per dare esecuzione alla volontà della ragazza, ma ciò è stata costretta a fare in assenza di una legge sul fine vita, colmando quindi un vuoto legislativo. Tuttavia dal principio di diritto emesso dalla Cassazione si evince come il caso di Eluana sia contrassegnato da eccezionalità e atipicità: sicuramente il responso dei giudici è stato influenzato dal fatto di trovarsi di fronte ad uno stato vegetativo permanente protrattosi all’inverosimile, nel quale il soggetto non aveva alcuna percezione col mondo esterno.
Le perizie effettuate dopo la morte al cervello della ragazza hanno mostrato che Eluana non sarebbe mai stata in grado di svegliarsi. In secondo ruolo viene così in rilievo il concetto di morte naturale. Negli ultimi decenni lo sviluppo tecnologico ha reso possibile spostare sempre più avanti il confine tra vita e morte. Lo stesso concetto di morte biologica si discosta dalla morte legale, che si ha in Italia in seguito al rilievo della cessazione di tutte le funzioni dell’encefalo. 
Sono quindi i grandi passi avanti nel campo medico a mettere in crisi il concetto di morte naturale, un tempo assolutamente chiaro. Quando una macchina diviene condicio sine qua non dell’esistenza di una persona è inevitabile non solo per il diritto, ma anche per la medicina e la teologia intervenire in campi così delicati. Il problema è aperto e non si vede soluzione nel breve periodo.
A livello teologico quanto al significato in sé di morte naturale non posso fare altro che pormi una domanda: “naturale” significa non scelta dall’uomo, ma scelta da Dio, nel senso che sarebbe Dio a decidere quando un uomo deve morire? Il magistero della Chiesa ci dice che l’uomo non può essere il padrone della propria vita e della propria morte, perché lo è Dio: è lui che pronuncia la prima e ultima parola dell’esistenza.
E così vengo al terzo nodo della vicenda. Contro l’orientamento comune secondo il quale la vita di Eluana non sarebbe stata degna di essere vissuta il magistero della Chiesa difende incondizionatamente la vita contro un supposto diritto alla morte paventato da alcuni. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 29 aprile 2002 nel caso Pretty c. Regno Unito ha riconosciuto che non è configurabile un “diritto a morire”.
La vita altrui è chiaramente indisponibile, ma la propria? Il discorso è prettamente teologico. Il precetto dell’indisponibilità della vita si scontra inevitabilmente con il principio di autodeterminazione della persona. L’art. 32 della Costituzione per il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge; la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” non rende certamente legale l’eutanasia, ma chiede di rispettare chiare indicazioni di trattamento della persona. Si entra però nella questione spinosa del cd. testamento biologico (e di una legge sbandierata un anno fa in fretta e furia e oggi più che mai necessaria). Il problema è quindi essenzialmente di confini, anche se appare opera ardua per l’uomo fissare dei limiti al “bene vita”, il quale rimane ab originis misterioso.

(immagine: Apocalipsis, El Greco, 1608-1614, Metropolitan Museum NY)