domenica 27 dicembre 2009

Matera: come avere la stazione ma non la ferrovia


“Matera, stazione di Matera!”: chissà cosa non farebbero molti materani per sentire un giorno, finalmente questo annuncio dall’altoparlante della loro stazione. La città dei Sassi è infatti l'unico capoluogo di provincia italiano a non essere servito da una stazione delle Ferrovie dello Stato, nell’unica regione senza aeroporti: la Basilicata. Ad essere precisi una piccola ferrovia privata tra Bari e Matera c’è ed è gestita dalle Ferrovie Appulo Lucane (FAL): con questa ci si impiegano 90 minuti per percorrere 50 km: un servizio decisamente inadeguato e scadente. In realtà ci sarebbe bisogno di una linea che colleghi la città al resto d’Italia, soprattutto agli altri centri principali della regione quali Potenza e Metaponto, per il turismo ma anche per un rilancio economico generale. La mancanza di vie di comunicazione primarie sfavorisce moltissimo l’iniziativa imprenditoriale nei centri che ne soffrono.
La fermata delle FS più vicina a Matera è quella di Ferrandina, comune di 9.000 abitanti posto a 34,5 km dal capoluogo di provincia e a circa 45 minuti di autobus. Il sito di Trenitalia indica che ci vogliono più di 11 ore di treno per arrivare a Matera da Potenza, distanti in automobile solo un centinaio di km. Chiaramente in questo caso la via più corta è arrivare in treno da Potenza a Ferrandina e poi prendere un bus-navetta per Matera.
Il dramma ferroviario di Matera inizia tra il 1972 ed il 1974, quando viene chiusa a causa del mancato ammodernamento e per l’eccessivo degrado degli impianti la linea tra Matera, Ferrandina, Pisticci e Montalbano Jonico, la quale collegava fin dal 1930 la città alla linea principale delle FS.
I lavori di realizzazione di una nuova tratta ferroviaria Ferrandina-Matera-La Martella iniziano nel 1986 ma a tutt'oggi, dopo 23 anni, non sono ancora terminati. Nel frattempo però è stata costruita una stazione: la famosa Stazione “Fantasma” delle Ferrovie dello Stato a Matera, un’opera mai conclusa e costata oltre 500 miliardi delle vecchie lire. Oggi è in completo abbandono.
I Sassi di Matera sono un patrimonio dell'umanità dal 1993 e sono stati il primo sito dell'Italia meridionale ad essere iscritto nella lista dell’UNESCO. Per un Paese come l’Italia che potenzialmente potrebbe vivere soltanto di turismo investire in collegamenti ferroviari è un obbligo.
In Spagna c’è un luogo molto simile a Matera: Segovia, città con 57.000 abitanti (poco meno dei 60.000 di MT) e nominata anch’essa patrimonio dell’umanità per merito suoi monumenti (tra cui il famoso acquedotto romano). La sua economia è basata principalmente sul turismo cittadino e pur essendo posta su una linea ferroviaria morta (come dovrebbe essere quella da completare a Matera) è raggiunta addirittura anche dall’alta velocità spagnola. Inoltre essendo situata a circa mille metri di altitudine e circondata da rilievi che arrivano fino ai 2430 m del Pico de Peñalara non si può certo dire che sia favorita dalla sua ubicazione.
Mi permetto un’amara considerazione: è diventato veramente difficile nel nostro Paese dotarsi di infrastrutture necessarie alla popolazione ed ai suoi bisogni primari e fondamentali (com’è la circolazione delle persone), se queste non sono direttamente convenienti per chi dovrebbe costruirle. Credo che in Italia non si guardi al domani ma solo al giorno dopo.

(nell'immagine la Stazione FS di Matera, costata circa 550 miliardi di lire e mai completata)

domenica 20 dicembre 2009

Il processo a Marco Travaglio e la nuova strategia della tensione. Analisi del deficit democratico italiano.


La gogna mediatica che sta subendo Marco Travaglio nella più classica delle tradizioni della nostra televisione da seconda repubblica deve allarmare ogni persona che disprezzi la ricerca di un capro espiatorio in seguito all’aggressione subita da Silvio Berlusconi. In particolare deve preoccupare la costante demonizzazione da parte di certe Istituzioni di quegli organi di stampa più critici nei confronti dell’operato del Governo e delle condotte del premier. Ciò che fugge agli schemi di un confronto democratico in Italia è proprio il fatto che la maggioranza si scagli contro quotidiani e giornalisti come si fa verso un partito di opposizione. E in effetti è proprio la mancanza di un forte partito di opposizione ciò che costa all’Italia in questo periodo un importante deficit democratico. Basta andare a rileggersi i principi basilari di un corso di diritto costituzionale per comprendere come il problema italiano riguardi tutto il sistema politico.
Per spiegarvi quale sia importante il ruolo della minoranza al fine del mantenimento dell’equilibrio democratico, voglio riportarvi un passo del manuale di diritto costituzionale dei professori Roberto Bin e Giovanni Petruzzella, uno dei migliori ed il più utilizzato nelle università italiane: “La regola di maggioranza è intrinsecamente ambigua. Infatti, da una parte, è lo strumento attraverso cui i più sono sottratti alla tirannia dei pochi, dall’altro lato può essere il mezzo attraverso cui i più eliminano i meno. Chi ottiene la maggioranza, infatti, può utilizzarla per adottare i provvedimenti che eliminino i soggetti rimasti in minoranza, sicché esiste il rischio della tirannia della maggioranza. Per contrastare questo pericolo le Costituzioni predispongono vari strumenti di tutela delle minoranze. Del resto, se non ci fossero questi strumenti la stessa regola di maggioranza non potrebbe più operare; infatti, se la maggioranza utilizza il suo potere per eliminare le minoranze, queste ultime reagiscono, lottano per la sopravvivenza, non riconoscono più lo Stato come ordinamento comune e, quindi, intaccano la sua legittimazione, aprendo la via alla disgregazione ed al conflitto violento”.
Se il più grande partito espressione della minoranza non fà opposizione, è un problema per tutta la democrazia, a prescindere dalla ragione per cui non vi riesca: in Italia il PD è certamente più frenato da problemi suoi intestini piuttosto che dall’operato della maggioranza. A tutto ciò si aggiunge l’esproprio al Parlamento del potere legislativo: ormai passano solo decreti del Governo e la media lavorativa dei parlamentari è di poche ore al giorno. Basti pensare all’abuso della fiducia, posta anche sulla legge Finanziaria, la quale si è dovuta blindare a causa di quell’emendamento che permette la vendita all’asta dei beni confiscati alla mafia. In questa legislatura il 90% delle leggi è deciso da Palazzo Chigi.
Ma allora se la minoranza non adempie al suo dovere di opposizione è naturale che la maggioranza debba trovare altri soggetti da attaccare per cercare di mantenere il consenso. Questi soggetti sono appunto i quotidiani non allineati con la linea di governo e la magistratura, incaricata in qualche modo di sopperire al ruolo dell’opposizione, non più in grado di bloccare già in Parlamento leggi palesemente incostituzionali. L’intervento di Cicchitto alla Camera è emblematico del gioco politico in atto: “A condurre la campagna d'odio contro Silvio Berlusconi è un network composto dal gruppo editoriale Repubblica-L'Espresso, da quel mattinale delle procure che è il Fatto, da una trasmissione di Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio oltre che da alcuni pubblici ministeri che hanno nelle mani alcuni processi, tra i più delicati sul terreno del rapporto mafia-politica e che vanno in tv a demonizzare Berlusconi”. Ad aggravare ancora di più la situazione italiana è il conflitto di interessi di cui gode il nostro Presidente del Consiglio e del potere (esplicito ed implicito) di cui dispone nei riguardi dei 6 maggiori canali nazionali (con varie sfumature). Siamo un paese dove nei telegiornali i fatti sono stati sostituiti dalle opinioni. Basta accendere la TV per essere sommersi solamente dalle opinioni dei “portavoce”.
Se l’Italia si trova al 73° posto della classifica sulla libertà di stampa di Freedom House ci sarà un motivo: nello specifico siamo considerati “Paese parzialmente libero”, al pari di Tonga e sotto a Benin, Namibia, Capo Verde, Trinidad & Tobago. Il processo imbastito a Marco Travaglio, nel Porta a Porta del 16 dicembre 2009 è diretta conseguenza di questa situazione. I giornalisti che riportano i fatti e che adempiono al loro dovere sono diventati il bersaglio della maggioranza. Solo ieri Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, diceva riguardo la bomba inesplosa ritrovata alla Bocconi: “Certo è che colpisce la coincidenza degli attentati con l'ennesimo attacco alla Costituzione, baluardo della democrazia. Si vuole una Repubblica presidenziale, come quella auspicata da Licio Gelli. Si vuole distruggere la Corte Costituzionale, colpevole di avere bocciato il lodo Alfano. Essa è accusata di essere formata da giudici comunisti scelti da Presidenti filocomunisti.”
Da Vespa il ministro Matteoli interviene aggredendo: “Con Togliatti, nel ’48 avevano le pistole in tasca. Oggi non ci sono più le pistole, ma la parola è più dannosa. La parola è la pistola”. Il messaggio che si vuole lanciare è il seguente: c’è un colpevole oltre Tartaglia. Vespa mostra quindi al pubblico Travaglio, reo di aver difeso genericamente il diritto all’odio (come sentimento personale) durante il Passaparola del 14 dicembre 2009. Al riguardo mi viene in mente un verso degli Afterhours: “anche odiare è un diritto, sai?”. Ma non ditelo alla maggioranza.

(riporto, affinché ognuno dei miei 25 lettori possa guardare e riflettere con la propria testa, il video del processo di Porta a Porta: http://www.youtube.com/watch?v=-zg--isSAR8 e video e testo integrali del Passaparola del 14 dicembre 2009: http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/2009/12/14/la_diretta_con_marco_travaglio.html)

mercoledì 16 dicembre 2009

La Cipro dimenticata. Alle origini di un caso internazionale.


Per capire il problema di Cipro, unica nazione dell’Unione Europea a non avere il completo controllo del suo territorio, occorre dare uno sguardo alla sua storia più o meno recente. Con la sconfitta della Turchia nella guerra turco-russa del 1877-1878 ed il successivo Trattato di Berlino l’isola di Cipro viene assegnata all’Inghilterra, per la quale vi rimane come colonia fino al 1959, anno in cui ottiene l’indipendenza. Gli anni del dominio britannico non sono facili: gli inglesi vedono Cipro solo come una base militare, e non le garantiscono alcuna forma di autogoverno.
Nel 1955 viene fondato dal colonnello greco-cipriota Gorge Grivas l’Organizzazione Nazionale dei Combattenti Ciprioti (Ethniki Organosis Kyprion Agoniston, EOKA), la quale perseguirà la lotta per l’indipendenza spinta dall’antico ideale dell’énosis, ossia l’unione con la madrepatria Grecia, per decenni sempre osteggiata dalla Gran Bretagna, poiché la persistente separazione tra le due comunità etnico-religiose fu nei fatti uno strumento degli inglesi per mantenere il controllo indiretto di Cipro, secondo la migliore politica del divide et impera. Inoltre la comunità turco-cipriota preferiva di gran lunga essere forte minoranza in una colonia britannica che piccola minoranza all'interno del più vasto stato greco; per questo nel 1957 i turco-ciprioti fondano l’Organizzazione di Resistenza Turca (Türk Mukavemet Teskilati, TMT), individuando la risposta politica all'énosis nella separazione (taksim) fra le due comunità.
La guerra civile tra EOKA e TMT viene sventata nel 1958 grazie all’avvio delle trattative per l’indipendenza, ma il nuovo Stato ha vita breve. La forma costituzionale prescelta comportante la necessità di avere la maggioranza su ogni disegno di legge all'interno di entrambi i gruppi etnici entra presto in crisi. Nel 1963 si accende una vera guerra civile tra le milizie data l’impossibilità per lo Stato di funzionare. Il 4 marzo 1964 le Nazioni Unite autorizzarono l'invio di caschi blu per sostituire la forza di interposizione anglo-turco-greca con l'operazione UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus) con un mandato semestrale da allora sempre rinnovato. Da questo momento i greco-ciprioti riescono ad ottenere alcune modifiche costituzionali in senso maggioritario, così negli anni successivi al 1964 i turco-ciprioti diventano a tutti gli effetti cittadini di serie B, con la speranza da parte del Presidente Makarios che un'emigrazione riduca i problemi della minoranza. Il punto di non ritorno è però posto nel 1973: il 15 luglio un colpo di Stato organizzato dalla Grecia (all’epoca in cui comanda la Giunta dei Colonnelli) rovescia il Presidente Makarios. Il 20 luglio la Turchia invade l’isola con l’intento di proteggere la comunità turco-cipriota.
Oggi mentre la Repubblica di Cipro ha ritrovato la democrazia ed è addirittura entrata nell’UE nel 2004, la parte nord dell’isola è ancora occupata dalla Turchia. La Repubblica Turca di Cipro Nord è infatti un esempio di stato fantoccio, e di questo avviso è in particolare la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 18.12.1996, Lozidou vs. Turchia) che ritiene responsabile la Turchia per le violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perpetrate in quel territorio. Lo Stato turco-cipriota inoltre non è riconosciuto né dall'ONU, né dalla intera comunità internazionale, con l’eccezione della stessa Turchia. Sono pochi però a sapere che siccome è tutta Cipro ad aver aderito all’UE, anche i turco-ciprioti hanno la cittadinanza europea, anche se non possono usufruire dei loro diritti poiché nei territori occupati dalla Turchia (35,4% dell’isola) è prevista la sospensione dei trattati comunitari.

(nell’immagine la spiaggia di Varosha, la cd. città fantasma. Era questa il quartiere greco-cipriota di Famagosta, oggi città della Repubblica Turca di Cipro Nord, ed era abitata da oltre 15mila persone tutte fuggite per salvarsi dall’invasione dei turchi)

sabato 12 dicembre 2009

Meno male che c'è Minzolini...


Meno male che c’è Minzolini a dirci cos’è giusto e cos’è sbagliato. A consigliarci a chi credere e a chi no. Perché, naturale, se Gaspare Spatuzza è un pluriomicida e uno stragista automaticamente sarà anche un bugiardo. E tanti auguri ai principi di logica e causa-effetto dei discorsi con un senso compiuto. Come ha detto Giancarlo Caselli, se è vero che bisogna cercare i riscontri alle parole del pentito Spatuzza, non si può dare per scontato in partenza che menta: bisogna essere laici, non prevenuti né in un senso né nell’altro. Per il fondatore del minzolinismo (secondo il linguista Cortelazzo una “forma di giornalismo che si basa sulla raccolta di dichiarazioni anche informali di uomini politici, senza alcuna verifica delle informazioni raccolte”) nulla conta che Spatuzza sia già stato ritenuto attendibile dai magistrati di Caltanissetta, che hanno preso la decisione di rivedere il processo per la strage di Via D’Amelio, della quale si è autoaccusato.
Meno male che c’è Minzolini, con il suo stile recitativo, tipico della poesia imparata a memoria di un bambino di quinta elementare, a difendere il suo datore di lavoro e l’amico degli amici Dell’Utri, come se non bastassero le loro schiere di avvocati. La deposizione di Spatuzza diventa “senza riscontri” e ciò è perlomeno paradossale dato che un riscontro doveva essere proprio la versione di Filippo Graviano. Questi ha smentito non “in un’altra aula di tribunale”, ma nella stessa: quella per il processo d’appello a Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia, condannato in primo grado a nove anni di reclusione con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Meno male che c’è Minzolini, direttore di un servizio pubblico (e che più o meno neutrale lo è stato fino a non molto tempo fa), a spiegarci che “nel nostro sistema giudiziario c’è qualcosa che non va” e a dirci di credere al boss mafioso ma non al “supposto” pentito. Lo stesso Dell’Utri da Graviano tanta benevolenza sembra che non se l’aspettasse: “sono meravigliato dalla dignità, dalla compostezza e dal pentimento esibiti da questo signore; a differenza di Spatuzza, mi sembra abbia intrapreso un sincero percorso di ravvedimento”. Nulla conta che il collaboratore di giustizia sia Spatuzza e non Filippo Graviano.

(vignetta di theHand)

martedì 8 dicembre 2009

Ma cos'è la Destra?


Non so se è più patetica la sinistra, che applaude ad ogni affermazione Finiana in grado di destabilizzare Berlusconi, oppure la Destra-pop(ulista).
Per quanto riguarda la sinistra credo che sia sempre più allo sbando, talmente priva di una leadership e di una linea politica unitaria da seguire, da doversi aggrappare alle parole del tanto contestato presidente della Camera.
La destra-pop invece credo che meriti qualche parola in più, in quanto è ad essa (anche) che il popolo ha dato in mano le chiavi per far funzionare il Paese.
Si tratta di una destra sempre più spaesata, retta in piedi solamente dalla grande forza del presidente del Consiglio e da un Partito Democratico connivente.
A tratti il PDL mi ricorda sempre di più "L'Unione" guidata da Romano Prodi; quest'ultima, in deficit di un forte capo del governo, vantava una composizione piuttosto variegata e mal assortita: comunisti, ex comunisti, cattolici, radicali, riformisti, conservatori...
Idem capita ora nel PDL dove troviamo: fascisti, ex fascisti, liberali, radicali, socialisti, ex socialisti, ex radicali, cattolici, laici, massoni, ... con una gran differenza rispetto all'Unione: la presenza di un leader forte (oggi forse un pò meno) e capace di dettare (oggi forse un pò meno) la linea di governo.
Questa forte variegazione cultural-politica si è palesata fortemente in seguito alle esternazioni del Presidente della Camera; emblematiche le repliche dei reggenti del partito di destra-pop: "Fini fuori dalla linea del paritito", "Fini lascia il PDL", "Fini filo-islamico", "Fini Compagno", "Il complotto contro Berlusconi"... si potrebbe andar avanti per ore.
Si può sintetizzare evidenziando un'invito al Presidente della Camera ad uscire dal PDL.
Questo è il punto di vista che vorrei suggerire: il PDL, fondato pochi mesi fa da Berlusconi e Fini su tutti, ha aderito a livello europero al cd. PPE: il parito popolare europeo; questo partito europero è rappresentato in particolar modo da Angela Merkel, la quale governa con un partito liberale guidato da Guido Westerlelle, un gay. La cancelliera tedesca ha iniziato il suo mandato politico affermando, tra le tante cose, che difenderà i diritti civili con i denti. La linea politica del PPE è in linea con le affermazioni del Presidente della Camera e non con quelle dei vari Cicchitto, Bondi, Bossi...(guardacaso tutti ex socialisti o comunisti o massoni, nessuno di Destra).
Dopo questa precisazione ci sarebbe da concludere che se qualcuo davvero deve lasciare il PDL questi di certo non sono i cd. Finiani ma i componenti della destra-pop.
La verità credo sia evidente: si stanno scontrando due visioni diverse della politica all'interno del PDL: la prima, quella della destra-pop, è una visione politica hic et nunc, miope, che si preoccupa solamente di parlare alla pancia del paese, al fine di garantirsi i voti necessari a vedere intatto il proprio status quo; una destra molto particolare formata da socialisti, radicali, massoni, ...
L'altra linea politica invece è quella dei cd. Finiani: i quali una matrice politica ben definita ce l'hanno, un certo valore dello Stato lo sentono, si riconoscono nel Risorgimento italiano e nella Costituzione, sentono il coraggio e la voglia di fare un passo deciso tendente ad una destra che non sia solo quella che sa parlare alla pancia del popolo, che sa solo appaltare i problemi alla populista Lega, che si fa additare come xenofoba, ottusa e di certo non al passo con i tempi.
Hanno stupito le posizioni di Fini sull'insegnamento dell'Islam nelle scuole: è forse meglio lasciare che ad insegnare la religione ai giovani islamici in Italia siano Imam integralisti presenti sul territorio italiano?
Altra esternazione molto discussa è stata quella, già proposta anni fa da Fini, di procedere ad una maggior integrazione degli stranieri secondo la via della legalità. E' forse più sensata la via delle cd. sanatorie tanto care a Berlusconi? Siam sicuri che la linea della Lega sull'immigrazione non generi più emarginazione, criminalità e clandestinità di quella che vuole, negli intenti, annientare?
Altrettanto stupore e collera hanno provocato altre uscite del Presidente della Camera, quelle riguardanti la giustizia e la magistratura; da sempre la destra (non pop) si è distinta per un certo rispetto delle regole e dell'ordine e Fini proviene proprio da questo ceppo politico e non da quello della P2 nè del PSI!
Credo, e con questo chioso, che non si stia verificando uno spostamento di Fini verso sinistra ma un allontanamento della destra-pop (quella della Lega, di Berlusconi, Cicchitto, Bondi ...) da quella che è la vera destra liberale rappresentata in Europa dal PPE.

mercoledì 2 dicembre 2009

Lukashenko, l'ultimo dittatore d'Europa


“Non permetterò che il mio governo segua il mondo civilizzato”: con queste parole Alexander Grigoryevich Lukashenko, Presidente della Bielorussia dal 20 luglio del 1994, cerca di illustrare la sua linea di governo. Si fa chiamare Bat’ka, “padre”.
“La storia della Germania è una copia della storia della Bielorussia. La Germania fu riportata in alto dalle rovine grazie ad una ferma autorità e non tutte le cose connesse alla figura di Hitler sono state cattive. L’ordine tedesco si evolse durante i secoli e raggiunse il suo picco sotto Hitler”: così si esprime Lukashenko in una controversa intervista del 1995.
Nel marzo del 2006 migliaia e migliaia di bielorussi marciano in fila per le strade e protestano per i brogli elettorali. L. vi manda contro la polizia in assetto antisommossa. Si interviene duramente per stroncare la protesta che l'opposizione inscena nella centrale piazza Oktiabrskaia di Minsk dal giorno delle elezioni vinte - fraudolentemente, secondo i manifestanti e secondo l’Osce e molti Paesi occidentali - da Lukashenko.
Aleksandr Kazulin, lo sfidante di Lukashenko alle presidenziali del 2006, è stato condannato a cinque anni di reclusione ed è rimasto in carcere per due. L’attivista Yana Palyakova in quei due anni si occupa del dossier Kazulin e promuove manifestazioni per il suo rilascio. Diventa un bersaglio delle autorità; viene arresata e picchiata, perseguitata con minacce anonime, aggressioni fisiche, telefonate della polizia in piena notte. Distrutta psicologicamente si suicida il 7 marzo 2009.
Uno dei maggiori problemi in Bielorussia rimane la libertà di stampa. Secondo il Freedom House Index 2008, la Bielorussia è al 188° posto e solo sette paesi sono posizionati peggio: Uzbekistan, Cuba, Eritrea, Libia, Turkmenistan, Birmania e Corea del Nord. Tuttora nel 2009 i giornalisti che riportano notizie dal Paese devono nascondere i loro veri nomi per proteggere sé stessi dalle persecuzioni del Kgb bielorusso e delle forze speciali.
Il 14 agosto 2009 un corrispondente e un cameraman del canale russo NTV sono stati arrestati dopo aver intervistato i familiari di alcune persone scomparse tra il maggio del 1999 e il luglio del 2000. La squadra di NTV è stata espulsa il giorno stesso dal Paese. Le loro sim-card e le cassette con il materiale video girato sono stati confiscati dagli agenti del Kgb.
La piaga delle persone scomparse continua ad affliggere la Bielorussia. Per far comprendere il potere assoluto di L. riportiamo un fatto avvenuto qualche settimana fa e raccolto da una giornalista di Radio Popolare. Una sua collega canadese era riuscita ad avere un’intervista esclusiva con il Presidente, evento già di per sé eccezionale. Questa gli aveva raccontato la storia di un ragazzo che era sparito misteriosamente. La famiglia era disperata; per errore era stato scambiato per una spia della resistenza. Intenerito da chissà quali parole L. ha fatto liberare il ragazzo la mattina seguente, e questi non è più stato toccato.
L. non riceveva una visita “occidentale” da più di dodici anni. A porre fine a questo periodo di isolamento ci ha pensato il Presidente del Consiglio italiano, che nell’occasione ha pronunciato le seguenti parole: “Grazie a lei ma anche alla sua gente, che so che la ama, e questo è dimostrato dai risultati delle elezioni, che sono sotto gli occhi di tutti, che noi apprezziamo e conosciamo. Tanti auguri a lei e al suo governo”. Che la realpolitik imponga relazioni anche con personaggi e paesi scomodi per approfittare dei vantaggi politici ed economici che da questi si possono ricavare, è risaputo e generalmente ammesso. Ciò non significa però che l’Italia, uscita ella stessa da una dittatura nel modo peggiore, dopo aver guadagnato la democrazia col sangue, possa prostrarsi sempre al despota di turno.