venerdì 26 febbraio 2010

Brava Nina, artista anti-sistema


Potrei scrivere un pezzo contro il festival di Sanremo, televoti, pupi, principi e giullari di corte ma riempirei la vostra testa di cose già dette e scritte da gente più brava di me. Per questo mi limito a fare i miei complimenti a Nina Zilli, artista piacentina di Gossolengo: una che si è fatta veramente da sola attraverso tanta gavetta, e che a Sanremo quest’anno ha raccolto risultati straordinari. Alla faccia dei bamboccioni degli Amici di Maria, e del suo sistema.
La canzone di Nina, “L’uomo che amava le donne”, ora tra le più programmate in radio, dalla giuria ha ricevuto 48 voti, contro i 14 dei La fame di Camilla e gli 11 di Tony Maiello, ex concorrente di X-Factor risultato poi vincitore della sezione giovani. Nina in classifica generale è arrivata seconda, penalizzata dal fatto di non aver potuto usufruire del traino pubblicitario di cui godono i partecipanti ai reality musicali, ma ha vinto 3 premi importanti: Premio della Critica, Premio Assomusica per la migliore esibizione live e Premio radio e tv. Brava! Finalmente anche a Sanremo un’artista che dimostra che è possibile allo stesso tempo cantare canzoni che escano fuori dai soliti canoni commerciali e piacere ad un grande pubblico.
Una frecciatina a Maria De Filippi però concedetemela: all’indomani della vittoria di Valerio Scanu (chi?) la generalisima diceva: “perché dobbiamo pensare che chi è a casa è deficiente? Ho sentito tanti dire com' era bella la canzone di Malika Ayane: se gli piaceva così tanto avrebbero dovuto votarla. E poi se il televoto corrisponde alle indicazioni del mercato discografico allora significa che non c' è un' incongruenza. Se invece si preferisce che una giuria di qualità faccia vincere i Jalisse che non vendono nulla...”. Peccato che le classifiche dicano altro: dei concorrenti del festival al 1° posto della classifica iTunes c’è Marco Mengoni mentre al 2° la tanto bistrattata Malika Ayane. Valerio Scanu non pervenuto. E comunque chi oggi non si ricorda "Fiumi di parole"? Vera canzone nazional-popolare.

giovedì 25 febbraio 2010

Di Girolamo e la 'ndrangheta in Senato


Tra le tante intercettazioni pubblicate negli ultimi anni e riguardanti le più disparate inchieste quelle pubblicate stamattina dai giornali riguardanti il senatore Di Girolamo sono particolarmente agghiaccianti [anche se la più schifosa rimane quella delle risate sul terremoto dell’Aquila dei costruttori della Protezione civile].
Nicola Di Girolamo è un senatore del Pdl eletto nel 2008 nella circoscrizione Europa. Durante la campagna elettorale per garantirgli l’elezione gli immigrati Roberto Macori (collaboratore di Gennaro Mokbel, per intenderci colui che apostrofava il senatore “Nicò, sei schiavo mio”, “M’hai scassato il cazzo, te lo dico papale papale a Nicò”, “Conti come un portiere, capito?”) e Giovanni Gabriele (uomo di fiducia del boss della ‘ndrangheta Franco Pugliese) partono per la Germania, in particolare per Stoccarda, per raccogliere quanti più voti possibili. Durante il viaggio il primo tiene aggiornato Di Girolamo. Un passaggio della chiamata colpisce in particolare per il contesto sociale di degrado che viene descritto:
«Insieme a Giovanni siamo entrati nel quartiere turco, l’abbiamo attraversato. Non sai cosa vuol dire. Siamo entrati in una casa di disperati italiani, col cane che abbaiava, la ragazzina che cacava e ci hanno dato una ventina di voti. In questa casa io non ho voluto mettere piede dentro, ho aspettato fuori. Il sor Giovanni è entrato, perché mi faceva talmente schifo… È entrato il sor Giovanni con la sua verve calabrese, si è preso i voti e se n’è andato. Ti confermo che er Giovanni, qui, è il capo della direzione germanica…».
Già da tempo si sapeva che vi erano state irregolarità nell’elezione di Di Girolamo: questi non poteva essere infatti eletto nella circoscrizione europea perché non era residente all’estero ma aveva falsificato le carte. Nel settembre 2008 il Senato non concede, però, l'autorizzazione all'arresto. Adesso il procedimento di annullamento dell’elezione può riprendere. “Sono emersi nuovi elementi sulla dubbia elezione di questo signore” dice oggi Schifani. Ma qualcuno del Pdl avrà pur nominato questo signore. Come dire, qualcuno avrà pur garantito per lui.

(nell’immagine de L’Espresso, il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo, a sinistra, insieme al boss della 'ndrangheta Franco Pugliese)

lunedì 22 febbraio 2010

Il Togo squalificato per i suoi morti


L’8 gennaio 2010 l’autobus che trasportava la nazionale di calcio del Togo in Angola è stato vittima di un sanguinoso attentato che ha causato il ferimento di nove persone e la morte di tre membri della delegazione togolese. La strage è avvenuta in Cabinda, un’enclave angolana posta tra il Congo-Brazzaville e la Repubblica Democratica del Congo, grande poco più della Provincia di Trento e abitata da 420 mila persone.
La Cabinda, oltre agli attacchi terroristici portati avanti contro le truppe angolane, è devastata da una guerra civile tra le due organizzazioni indipendentiste presenti sul territorio: il Fórum Cabindês para o Diálogo (Fdc) ed il Frente para a Libertação do Enclave de Cabinda (Flec). La prima nel 2006 ha accettato una tregua con il governo di Luanda, respinta dalla seconda.
Gli interessi in gioco sono molti. L’Angola è divenuto nel 2009 il primo produttore di petrolio del continente africano e Luanda produce il 60% dei propri idrocarburi proprio in Cabinda. In questa sottile striscia di terra sono presenti alcune delle più importanti multinazionali del settore (comprese la francese Total, l’americana Chevron e l’italiana Eni).
Tre giorni fa (19/02/2010) il Tribunale di arbitrato sportivo di Losanna (TAS) ha respinto provvisoriamente il ricorso della Federazione togolese che chiedeva l'ammissione alla Coppa d'Africa del 2012. Il Togo è stato squalificato dalla Confédération Africaine de Football (CAF) per le prossime due edizioni a causa della decisione di ritirarsi dalla manifestazione.

giovedì 11 febbraio 2010

I politici di una volta


Margherita Hack, nostra grande astrofisica classe ’22 (che mente conserva ancora!), ha lanciato ieri in un’intervista quella che ai più è parsa solamente una provocazione: "la laicità dello Stato è sancita dalla Costituzione; ma in realtà il Governo è oggi molto più succube del Vaticano rispetto alla Dc, la quale era più indipendente sia del Pdl che del Pd". L’ateismo della scienziata è risaputo e d’altra parte convinto, ma la stessa idea l’ho ritrovata in Vito Mancuso, teologo italiano che con i suoi libri ha avuto un grande successo editoriale riuscendo ad avvicinare molte persone alla disciplina che studia Dio. La citazione che vi propongo si sposa perfettamente con il pensiero della Hack ed è tratta dal libro “Disputa su Dio” scritto (ma sarebbe meglio dire discusso) con Corrado Augias ed uscito nel 2009:
“Il vero problema italiano è tuttavia un altro [si parlava di alcune manovre lobbistiche della Chiesa]: mi riferisco all’insufficienza etica e ancor più culturale della nostra attuale classe politica, soprattutto, mi spiace dirlo, di quei politici che a parole si dicono cattolici. Un tempo non era così. I grandi politici democristiani (Sturzo, De Gasperi, Fanfani, Moro, Zaccagnini…, loro sì veri credenti, con una fede testimoniata a partire dalla vita privata) sapevano mediare le pressioni ecclesiastiche, le sapevano inquadrare nel contesto più vasto del bene comune e della laicità della Repubblica, giungendo talora persino ad opporsi esplicitamente ad alcune indicazioni della Chiesa, come fu il caso di De Gasperi che disse no a Pio XII il quale, nel 1952, gli voleva imporre un’alleanza elettorale con l’MSI per il comune di Roma in funzione anticomunista”.
Atei e cattolici sono insomma concordi nell’affermare che la crisi morale e culturale che travaglia la classe di governo italiana provoca ripercussioni negative nella gestione della politica interna, consentendo spesso ingerenze (da parte del Vaticano, ma il discorso potrebbe allargarsi ai gruppi di potere in generale) che in altri tempi e con altri uomini lo Stato non avrebbe permesso.

(vignetta di Staino)

lunedì 8 febbraio 2010

Il ponte sul Po crollato a Piacenza: nessuno paga i danni


Avé al dann ill la beffa: con queste comprensibili parole in dialetto piacentino è possibile riassumere la vicenda del ponte sul Po crollato lo scorso 30 aprile 2009. Non è stato come se una città fosse stata tagliata a metà, ma quasi, poiché esercizi commerciali sono presenti senza soluzione di continuità da una sponda all’altra del fiume. Ai disagi patiti da chi ogni giorno deve spostarsi dal lodigiano alla città emiliana, si aggiungono le perdite economiche degli esercizi commerciali, mitigati solo a fine ottobre con l’apertura del ponte provvisorio. Da una parte vi sono i centri commerciali situati sulla sponda lombarda, che hanno per lungo tempo perso i consumatori piacentini, dall’altra vi sono le botteghe cittadine che hanno rispettivamente dovuto fare a meno dei lodigiani. Prime stime individuano in un 30% il calo di clientela che hanno patito gli esercenti piacentini a causa della perdita di una grossa fetta dei consumatori del lodigiano.
Tuttavia le Confcommercio di Piacenza e di Lodi per ora non hanno avanzato richieste di danni contro ANAS per la scarsa attenzione nel curare lo stato di salute del ponte. Questo forse perché si fatica ad individuare lo strumento giuridico adeguato.
La normativa della class action all’italiana (introdotta nel 2008) presenta infatti due limiti importanti:

giovedì 4 febbraio 2010

Protezione civile servizi Spa: pericolo scampato(?)


La notizia di questi tempi è di quelle da ascrivere alle buone: martedì (02-02-2010) la Commissione Bilancio del Senato ha cassato 8 commi fondamentali del decreto che doveva disporre la trasformazione della Protezione Civile da Dipartimento a Società per azioni.
Con la scusa di ''garantire economicità e tempestività agli interventi del Dipartimento della protezione civile'' si vuole infatti privatizzarla, esternalizzando quasi tutte le sue attività con effetti negativi per la trasparenza nelle gare d’appalto dei servizi. Che il business dell’emergenza sia una gallina dalle uova d’oro iniziano ormai ad accorgersene un po’ tutti. Ma soprattutto se n’è accorto il suo capo, il ministro in pectore Guido Bertolaso: è stato lui il più grande promotore della riforma.
Lo stesso padre fondatore della Protezione Civile Giuseppe Zamberletti aveva affermato che “già ora la Protezione civile dispone di adeguati strumenti per intervenire in modo tempestivo ed ha la possibilita' di agire in deroga alle norme. Mi chiedo quindi se fosse proprio necessario varare una nuova struttura; chi si trova a gestire le emergenze deve poter disporre dei meccanismi necessari per far funzionare la macchina degli interventi in maniera rapida ed efficace. Ricordo che nel 1976, quando mi trovai ad affrontare il terremoto in Friuli, chiesi all'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga fino a che punto potessi spingermi in materia di poteri di intervento. E lui mi disse: «è discutibile se puoi condannare a morte qualcuno, ma per il resto puoi fare tutto! ». I poteri eccezionali per far fronte alle emergenze, insomma, c'erano anche più di trent'anni fa”.