mercoledì 1 dicembre 2010

La migliore politica estera degli ultimi 150 anni


"Silvio Berlusconi è il nostro miglior amico": più che un chiarimento, da Hillary Clinton è arrivata la classica pezza. Mentre il Segretario di Stato americano lodava l'opera dell'Italia come suo primo alleato, dall'etere traspariva un'atmosfera comunque tesa in seguito alla pubblicazione dei giudizi dell'ambasciata americana sul nostro Premier. 
Quelle trapelate non sono certo cose che gli italiani non sapessero già, anzi. Sembrano tipici segreti di Pulcinella. Che la politica estera berlusconiana indispettisse l'alleato americano c'era da aspettarselo. Che gli USA preferiscano un interlocutore che non sia Berlusconi, lo si evince dai suoi freddi rapporti con l'amministrazione Obama. I bei tempi delle scampagnate texane con George W. Bush sono passati. Ma più che le gag sull'abbronzato presidente afroamericano ciò che spinge gli USA ad avere poca fiducia nell'Italia sono le amicizie pericolose del nostro Presidente del Consiglio con i vari Putin, Gheddafi, Lukashenko. 
La politica estera della pacca sulla spalla (copyright by Italo Bocchino), o dei tarallucci e vino offerti al dittatore di turno non paga nel momento in cui quello che dovrebbe essere il tuo principale alleato ti definisce "incapace, vanitoso, e inefficace come moderno leader europeo" (feckless, vain, and ineffective as a modern European leader). D'altra parte gli USA vedono con sospetto il compagno Vladimir Putin: "un politico autoritario il cui stile maschilista gli permette di andare perfettamente d'accordo con Silvio Berlusconi".
La fama delle "feste selvagge" (wilde parties) del nostro primo ministro si estende in tutto il mondo e provoca profonda sfiducia in Washington. Insomma, Wikileaks non fa altro che confermarci che il nostro principale alleato non si fida tanto di noi e che giudica in generale inadatto l’attuale presidente del Consiglio a governare la nostra nazione a causa di suoi secondi interessi personali. Allegria.
Tuttavia mi pare che ad essere sbagliati non siano tanto i nostri interlocutori, quanto i modi con i quali concludiamo i nostri accordi. Non voglio dire che l’Italia non debba avere rapporti con Libia, Russia o Turchia, anzi: fin dagli anni ’60 la politica estera italiana si è contraddistinta per un filo arabismo già allora giudicato malamente dall’alleato statunitense. L’Italia cercava di trovare un posto di rilievo nello scacchiere internazionale e per un paese al centro del mediterraneo era inevitabile giocare di sponda con i paesi arabi, anche se non democratici. C'è da dire però che un tempo eravamo più bravi a guadagnarci spazio e risorse in modi poco convenzionali, dando meno nell'occhio. 
Certo è che si può trattare con la Libia senza donare vestali ad un re barbaro. O meglio: si può fare realpolitik anche salvaguardando l’onore e la dignità dell’Italia e della Sua storia.

Vignetta di Tonus