lunedì 21 giugno 2010

Amedeo Guillet, l'ultimo Cavaliere


Avevo scoperto la sua storia una notte d'estate con un documentario de La storia siamo noi, su RaiTre. Era nato nella mia città, Piacenza, il 7 febbraio 1909. Era figlio sia del nord che del sud, di genti piemontesi e capuane. La sua gioventù l'aveva donata all'Italia, iscrivendosi all'Accademia Militare di Modena, da cui uscì con i gradi di sottotenente di Cavalleria nel 1931. Veniva chiamato Cummandar as Shaitan, Comandante Diavolo, e Ahmed Abdallah al Redai, ma il suo vero nome era Amedeo Guillet. 
Scriveva di lui il grande Indro Montanelli: "se, invece dell'Italia, Guillet avesse avuto alle spalle l'impero inglese, sarebbe diventato un secondo Lawrence. È invece soltanto un Generale, sia pure decorato di medaglia d'oro, che ora vive in Irlanda, perché lì può continuare ad allevare cavalli e (a quasi novant'anni) montarli. Quando cade e si rompe qualche altro osso (non ne ha più uno sano), mi telefona...". 
Lo storico Sergio Romano lo descriveva come "uno dei più audaci e spericolati ufficiali di cavalleria dell'esercito italiano in Africa Orientale. Dopo la disfatta del 1941, Guillet non volle abbandonare il Paese e divenne capo di una banda di cavalieri eritrei, etiopici e arabi, la Gazelle Force, che continuò a combattere dietro le retrovie dell' esercito britannico. Vestiva panni arabi ed era accompagnato da una giovane donna, figlia di un capo, bella, orgogliosa, audace come un guerriero. Cominciò così una caccia alla volpe in cui la volpe sbucava improvvisamente dalla boscaglia per colpire il cacciatore e scompariva all' orizzonte in una nuvola di polvere e sabbia. Qualche mese dopo, inseguito dagli inglesi, dovette nascondersi a Massaua. Era piccolo, asciutto, aveva i baffi, la barba corta, i capelli neri, sopracciglia folte, la carnagione piuttosto scura e parlava arabo. Non si chiamava più Guillet, ma Ahmed Abdallah al Redai. Per sopravvivere e sottrarsi alle ricerche degli inglesi fece l' acquaiolo sino al giorno in cui, aiutato dai suoi amici indigeni, poté attraversare il Mar Rosso e trovare rifugio nello Yemen dove strinse amicizia con la famiglia regnante. Quando vi tornò, molti anni dopo, come ministro d' Italia, l' Imam a cui presentò le sue credenziali, lo guardò con un sorriso e gli disse: «Sei tornato a casa finalmente»."
Negli anni sessanta Amedeo Guillet partecipò a Londra ad un banchetto "durante il quale il generale Savory, comandante della IV Divisione indiana, raccontò le imprese dell' ufficiale italiano e parlò di una guerra cavalleresca «caratterizzata dallo spirito nobile dei soldati nell'adempimento del loro dovere da entrambe le parti»." 
Le sue peripezie sono state raccontate in giro per il mondo. Uno dei suoi nemici, Vittorio Dan Segre, ex giovane ufficiale della Legione ebraica che prestava servizio nell'Intelligence britannico in Egitto, dopo aver rincontrato negli anni novanta Guillet a Roma ha scritto il libro La guerra privata del tenente Guillet (Corbaccio, 1993). E abbastanza recentemente un altro inglese, Sebastian O' Kelly, ha pubblicato Amedeo. Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet. Un eroe italiano in Africa Orientale (Rizzoli, 2002).
Guillet fu anche un precursore dell'integrazione: fondando il gruppo Bande Amhara, creò una forza multirazziale in cui etiopi, yemeniti ed eritrei furono lasciati liberi di esprimere la propria cultura all'interno del gruppo senza alcun tipo di imposizione. Il Cavaliere era infatti affascinato e spinto da rispetto verso la cultura africana, mentre gran parte dei suoi contemporanei, tanto italiani quanto inglesi o francesi, disprezzavano le popolazioni indigene. 
È morto a Roma il 16 giugno 2010. Il Corriere della Sera, con un bel articolo a firma di Aldo Cazzullo, ha fatto giustamente notare come Amedeo Guillet abbia dimostrato "che era possibile combattere bene la II guerra mondiale senza per questo diventare un fantoccio dei nazisti. Fino all' ultima pallottola fu al fianco dei suoi eritrei e contro gli inglesi. Poi, dopo l'armistizio, non esitò a seguire il suo re, il governo legittimo, l'Italia libera, contro l'invasore."
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo ha ricordato come "uomo, diplomatico e politico di valore, generoso servitore del paese in guerra e in pace". Smessa la spada Amedeo Guillet fu infatti ambasciatore nei paesi arabi, dalla Giordania al Marocco, e anche in India.
I numeri possono dare solo qualche indizio della sua vita: tre guerre alle spalle, ferito cinque volte, ventisette decorazioni e un tatuaggio incisogli da un capotribù all'altezza del cuore. Con  lui se ne va l'ultimo Cavaliere eroe di guerra italiano. Un uomo che partendo da Piacenza con le sue avventure ha scritto pagine affascinanti della storia d'Italia. Un uomo che la stessa storia italiana - quella scritta - ha per troppo tempo lasciato in disparte, e a cui dovrebbe essere tributato il giusto onore almeno oggi che ha lasciato questo mondo. La sua città natale dovrebbe quindi essere in prima fila nel ricordarlo. Per queste ragioni spero che Piacenza dedichi ad Amedeo Guillet un monumento, affinchè i piacentini degli anni venire possano guardando la sua statua viaggiare con la mente per l'Africa orientale, lo Yemen, il deserto, l'oceano indiano, ed essere orgogliosi di un grande italiano.

P.S. Ho creato un gruppo facebook per sostenere l'dea di un monumento a Piacenza per Amedeo Guillet, iscrivetevi! A questo link invece la puntata integrale de La storia siamo noi dedicata alla leggenda del comandante diavolo.