martedì 4 maggio 2010

Il paradosso liberalsocialista: troppo bravi per governare


Sul Corriere dell’8 aprile 2010 Sergio Romano rispondendo ad un gruppo di studenti che gli chiedeva informazioni riguardo ai liberalsocialisti italiani, ne faceva una breve ma interessante analisi che questo blog non può esimersi dal riproporre.

“…è appena apparso, presso il Centro Editoriale Toscano, un libro a cura di Michela Nacci che s’intitola per l’appunto «Figure del liberalsocialismo ». Comprende una serie di profili biografici italiani, da Carlo Rosselli a Riccardo Bauer, da Guido Calogero a Piero Calamadrei, da Aldo Capitini ad Adriano Olivetti, e alcuni saggi dedicati ai grandi «profeti»: John Stuart Mill, Bertrand Russell, John Dewey, José Ortega y Gasset.
Questo elenco incompleto di nomi noti e rispettati dovrebbe bastare a darvi di per sé un segno dell’importanza del movimento.
Eppure è anche, contemporaneamente, una dimostrazione della sua modesta fortuna politica. Con l’aiuto di Michela Nacci, che ha premesso al libro una eccellente introduzione, proverò a spiegarvene le ragioni.
Il liberalsocialismo è probabilmente il più nobile e promettente dei numerosi movimenti di «terza via» sorti nel mondo occidentale tra Ottocento e Novecento. Nasce dall’esigenza di evitare che liberalismo e socialismo, se spinti sino alle loro estreme conseguenze, producano più danni che vantaggi: un capitalismo spietato e rapace, un socialismo oppressivo e livellatore.
Per salvare il meglio dell’uno e dell’altro occorre definire un modello che rispetti e promuova tutte le libertà, da quelle politiche a quelle economiche e civili, ma si dimostri sensibile ai problemi della povertà, dell’educazione, dello sviluppo sociale. Le difficoltà sorgono naturalmente quando occorre tracciare la frontiera tra le due esigenze, e sono tanto maggiori, paradossalmente, quanto maggiori sono le doti individuali e il brio intellettuale dei singoli liberalsocialisti.
Il movimento stenta a diventare partito anche perché non può darsi un leader e una necessaria struttura gerarchica. Come ricorda Arturo Colombo in uno dei saggi del libro, un liberalsocialista milanese, Riccardo Bauer, diceva realisticamente e amaramente: «La terza forza non esiste». Intendeva dire che sarebbe stato necessario dedicarsi, piuttosto che alla fondazione di un partito improbabile, alla creazione di una cultura liberalsocialista. Ecco perché questo libro è soprattutto una galleria di ritratti.
La mancanza di una terza forza organizzata non significa tuttavia che le idee liberalsocialiste siano rimaste rinchiuse nei circoli intellettuali in cui sono nate. Il liberalsocialismo non conquista il potere ma finisce per ispirare quasi tutti i programmi riformisti del Novecento. Forse la prova più interessante di questa anomalia è il grande programma britannico «dalla culla alla tomba», dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fu realizzato dal governo laburista di Clement Attlee, ma ideato da un liberale, Lord Beveridge.”

(nell'immagine, tessera del Partito d'Azione, nel quale confluirono le istanze liberalsocialiste durante la resistenza e fino al 1946)