venerdì 18 febbraio 2011

Nel ricordo dell'esodo l'Italia recuperi il sentimento di unità


Fortunatamente quest’anno le celebrazioni della giornata del ricordo dei martiri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata si sono svolte in assenza di sterili polemiche. Anche Piacenza, nel suo piccolo, ha adempiuto al suo dovere intitolando finalmente un’area pubblica a chi lasciò la vita nel Carso e soffrì tanto nell’abbandonare per sempre la propria Patria.
Purtroppo solo negli ultimi 10-15 anni è stata recuperata questa pagina strappata dalla Storia italiana. Come ha ben detto il Presidente Napolitano, l’Italia è rimasta ostaggio del proprio passato troppo a lungo.
La memoria di queste tragedie è stata per troppo tempo nascosta. L’istituzione della giornata del ricordo è stato così un modo per porre riparo a quella sorta di damnatio memoriae che ha a lungo coperto tutta la vicenda, per ragioni di ordine interno e internazionale. Da una parte, era infatti difficile per l’Italia repubblicana nata dalla Resistenza ammettere gli eccessi della Resistenza rossa, e quindi le stragi comuniste dei titini e quelle pagine non nobili del Pc italiano, quando Togliatti stesso invitava i triestini ad accogliere le truppe iugoslave come liberatrici. Dall'altra parte, sul versante internazionale, la damnatio memoriae era dovuta al fatto che quando Tito ruppe con Mosca e divenne il capo dei non allineati, diventò funzionale al mondo occidentale, quindi un uomo da non toccare, dipinto come grande statista di cui venivano nascoste le malefatte, mistificando l’accaduto.
In questo contesto il dramma dei profughi istriani giuliani dalmati è stato doppio: non soltanto esodo e foibe, ma anche una storia rimossa per anni. Mentre l’Italia fingeva di aver vinto la guerra, il peso della sconfitta è stato pagato dagli italiani del nord est attraverso le foibe e l’esodo. Il dramma degli esuli, di coloro che vollero continuare a essere italiani e per farlo furono costretti a partire fu particolarmente significativo: una volta tornati, si trovarono nelle condizioni di esuli in patria. E quindi due volti esuli. Sparpagliati nei campi di accoglienza in giro per un’Italia distrutta e non preparata ad accogliere 350.000 persone, passarono dalla vista del loro mare, l’Adriatico, al freddo di vecchie caserme, barcamenti, ex campi di prigionia.
Vittime delle foibe e più in generale delle esecuzioni jugoslave non furono solo militanti fascisti, ma anche «preti, antifascisti e addirittura membri del Comitato di liberazione nazionale» (Gianni Oliva, Foibe, 2002). Gli infoibati ebbero tutti una colpa comune: l’essere italiani. Non vi scamparono nemmeno i partigiani: «…altre formazioni di comunisti italiani incontrarono sorti peggiori. Gli slavi infatti non esitavano a passare per le armi quei comandanti che rifiutavano di sottoporsi al loro controllo. È quanto è capitato, per esempio, al Battaglione Giovanni Zol, che pretendeva di ricevere ordini solo dalla federazione triestina del Pci. Accusati sbrigativamente di “insubordinazione al superiore comando jugoslavo” tre esponenti del Battaglione, Giovanni Pezza, Umberto Dorino e Mario Zezza, furono condannati a morte. Pezza e Dorino furono immediatamente fucilati, Zezza riuscì a salvarsi in circostanze fortunose» (Arrigo Petacco, l’Esodo, 1999). Il termine “foibe” ha assunto oggi un carattere simbolico: molti italiani finirono nelle voragini carsiche ma la maggior parte delle vittime fu eliminata nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi
Oggi grazie alla memoria condivisa è possibile squarciare il velo della verità senza pregiudizi. L’auspicio è che il ricordo dell’esodo e delle foibe sia utile all’Italia per recuperare il sentimento dell’unità, purtroppo di questi tempi da molti e a torto osteggiato. È ora di lasciarsi certe divisioni alle spalle, mettendo da parte gli egoismi e impegnandosi insieme per il bene comune.