lunedì 23 novembre 2009

Il buio sugli anni di piombo


È difficile trovare in giro film che parlino degli anni di piombo italiani, quel periodo che inizia con l’autunno caldo del 1969 ma non si sa bene dove finisca. Probabilmente il 1988, quando le Brigate Rosse compiono il loro ultimo assassinio uccidendo il senatore DC Roberto Raffili, non è l’anno giusto. Come lasciare fuori infatti la stagione stragista di Cosa Nostra? E le nuove BR, che tra il 1999 e il 2003 uccidono prima Massimo D’Antona e poi Marco Biagi? Evidentemente non si può. Allora scopriamo che i cd. anni piombo non è che siano finiti tanto tempo fa: l’ultimo rigurgito di tensione armata viene cancellato solo il 2 marzo 2003, con lo scontro a fuoco sul treno Roma-Firenze che porta alle morti del brigatista Mario Galesi e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri ed all’arresto della compagna di Galesi, Nadia Desdemona Lioce.
Forse la difficoltà di avvicinarsi con una prospettiva storica a questo periodo deriva proprio dal fatto che abbia avuto termine da poco. Tuttavia per chi come me è nato alla fine degli anni ’80 gli anni di piombo sono il buio. A scuola a malapena i professori riescono ad arrivare alla bomba atomica e la resa del Giappone. A volte magari spiegano un po’ a grandi linee il sessantotto perché loro l’hanno fatto e hanno lottato per qualcosa. Ma poi si rimane con un buco che viene lasciato lì.
Per questo ogni iniziativa giornalistica o artistica o storica che riguarda un periodo così poco conosciuto dai giovani è importante. Come si fa a comprendere l’Italia di oggi e ignorare quegli anni tragici che hanno vissuto solo i nostri padri? Non si può. Anche per questo il film “La Prima Linea” a suo modo è importante. Dispiace vedere tante polemiche intorno a quello che in fondo, semplicemente, è un bel film che racconta vicende drammatiche non così lontane da noi.
La pellicola racconta una storia del gruppo terroristico omonimo Prima Linea, attraverso gli occhi di uno dei suoi fondatori, il giovane Sergio Segio. Il viaggio compiuto con un gruppo di ex combattenti nel gennaio dell’82 verso il Polesine con l’obiettivo di assaltare il carcere di Rovigo per liberare la sua compagna Susanna Ronconi, è la scusa che coglie il regista per illustrarci la parabola discendente della vita terroristica di Segio dai primi attentati al pentimento forse avvenuto già prima dell’arresto.
Ciò che traspare dal film è proprio la solitudine dei terroristi, che vivono isolati in piccole stanze, sempre in fuga, e che vedono mano a mano allontanarsi il supporto della classe operaia nei confronti delle loro azioni, spinte alla fine da un solitario delirio di onnipotenza. Emblematico di come Prima Linea stesse perdendo il proprio controllo abbandonandosi ad un’escalation di violenza gratuita è l’assassinio di Emilio Alessandrini, il giudice che scoprì la pista nera della strage di Piazza Fontana e che ebbe il torto di avvicinarsi troppo ai componenti del gruppo con le sue indagini, “un giudice temuto dai servizi deviati per essere troppo rosso, ucciso dal terrorismo rosso perché efficiente e democratico” (come dice P. Leporace, nel libro Toghe rosso sangue).
Gli attacchi della carta stampata non sono mancati nei confronti della pellicola. La critica più diffusa al film è che non racconta il contesto storico del sessantotto e degli anni di piombo; tuttavia non credo fosse questo il compito affidato al film dai suoi autori. I film raccontano storie, non la storia. D’altra parte per riuscire ad avere una visione generale e completa di quel periodo non basta neanche guardare qualche documentario, o leggere un libro. Inoltre lo stesso sottotitolo del libro “Miccia Corta” di Sergio Segio a cui si è ispirato il film parla di “Una storia di Prima Linea”.
È molto triste sentire il Ministro per i Beni e le Attività Culturali ex comunista Sandro Bondi, che pur ha riconosciuto da parte del film la “netta condanna delle responsabilità di chi si è macchiato di orrendi delitti in nome di un’ideologia criminale”, dire anche: “ritengo personalmente che la sopravvivenza nella storia del nostro Paese di rigurgiti di violenza politica, nonché il rispetto che tutti, a partire dalle istituzioni, dobbiamo alla memoria di tutte le vittime del terrorismo, per non parlare della doverosa riservatezza che i protagonisti di quella stagione dolorosa dovrebbero mantenere, imporrebbero di non usare fondi pubblici per finanziare questo genere di film”. Non si capisce allora cosa debba fare un film sul terrorismo in Italia per avere l’accesso ai fondi pubblici. Dopo le polemiche sulla questione comunque il produttore Lucky Red vi ha rinunciato, pur avendone pieno diritto. Probabilmente la politica non è ancora pronta per un dibattito aperto ed una analisi scevra da preconcetti sul tema. Resta comunque il fatto che gli anni di piombo sono una parte della nostra storia, seppur lasciata in un angolo.
(nell'immagine, il giudice Emilio Alessandrini ucciso da Prima Linea)