giovedì 19 novembre 2009

Liceo Gandhi: una storia italiana


Il 14 novembre all’alba la polizia irrompeva in un liceo di Milano per sgomberarlo. La sera prima gli studenti avevano occupato la scuola. Strana occupazione tuttavia: non per protestare contro l’ultima riforma di questo o quel ministro dell’istruzione, ma per salvare la loro scuola.
Tutto iniziò l’estate scorsa, quando l’11 agosto il Comune di Milano comunicò agli studenti con una lettera l’intenzione di chiudere la scuola, con bollettini di iscrizione già pagati e a poco più di un mese dall’inizio. Una decisione grave perché il Gandhi di piazza XXV aprile non era una scuola normale: era l’ultimo liceo civico paritario italiano. A settembre il Gandhi contava circa 80 studenti suddivisi in quattro indirizzi: liceo classico, linguistico, sociopsicopedagogico, e scientifico, per un totale di 20 classi di cui, all'avvio dell'anno scolastico 2009/2010, ne rimanevano aperte soltanto due, le quali tuttavia non sono state attivate grazie ad un appiglio burocratico. La conseguenza è che studenti che hanno il diritto di terminare i propri studi presso il liceo a cui sono iscritti si ritrovano da settimane, giorno e notte, per strada e in tenda a presidiare la loro scuola. Tuttavia, anche dalle voci dei suoi studenti, si intuisce come lo smantellamento della scuola non sia iniziato solo quest’estate. Se molti suoi alunni sono venuti a conoscenza dell’esistenza del Gandhi tramite il passaparola, significa che c’è stata una volontà pregressa da parte delle Istituzioni di non pubblicizzare questa realtà. Ciò lascia attoniti perché un liceo serale dovrebbe essere per una città che tiene a sé stessa un vanto e non un peso.
Il Gandhi era davvero un'istituzione importante. Aperto da oltre cinquant’anni, consentiva a tanti lavoratori di non rinunciare alla possibilità di raggiungere un diploma di liceo con un costo veramente contenuto di 258 euro annui: circa un decimo di quello che possono chiedere licei privati paritari. Per molte persone era questo quindi l’unico luogo accessibile che consentiva di studiare pur lavorando. La protesta degli studenti ha ricevuto la solidarietà di molti esponenti del mondo della cultura cittadina, tra cui Dario Fo e il ballerino Roberto Bolle, ex studente della scuola.
Formalmente le ragioni che hanno indotto il Sindaco Letizia Moratti e l’assessore Mariolina Moioli a chiudere la scuola sono la mancanza di fondi e la carenza di studenti. La prima è discutibile, considerato anche i quattro milioni di euro che il Comune ha elargito quest’anno come contributi per l’acquisto di materiale scolastico a tutti gli studenti delle scuole primarie e secondarie di Milano: “mi risulta che non ci siano altre municipalità a prevedere questi contributi; un modo per essere vicini alle famiglie in un periodo non facile, ma anche per attuare la nostra Costituzione, che garantisce ai capaci e ai meritevoli il raggiungimento dei più alti gradi degli studi” le parole della Sindaca. Inoltre i professori del Gandhi sono di ruolo: ciò significa che comunque non andavano a pesare sul bilancio del Comune e una volta soppresse le classi si sono ritrovati a far nulla. La seconda ragione è stata smentita dal TAR che ha concesso la sospensiva nei confronti dell’atto di chiusura del Comune, accogliendo il ricorso degli studenti. Nonostante questo il Comune non ha riaperto la scuola. Nemmeno le due classi che dovevano rimanere aperte hanno potuto iniziare le lezioni.
Il Gandhi era stato già occupato e sgomberato due volte. Comunque la si veda, la vicenda è indice della mentalità malata che pervade la politica, a livello sia locale che statale, che vede nell’istruzione e nella ricerca medico-scientifica solo luoghi di tagli, accomunati da ideali un po’ retrò ben sacrificabili alla ragion di stato economica. Credo che i pochi studenti del Gandhi non giustificassero la sua chiusura, bensì una sua implementazione. Una società che guarda al futuro non può prescindere da educazione e cultura. Il rischio è cadere in un clima di barbarie. Lasciar morire una scuola è un gravissimo delitto, perché la scuola è la società.