Andando a scavare nell’archivio storico del Corriere della Sera, ho scoperto che una grande amicizia legava Indro Montanelli ad Amedeo Guillet. Un’amicizia alimentata da una stima profonda verso le gesta di cui fu autore il Comandante Diavolo. In tanti in questi giorni abbiamo ricordato il paragone che Indro fece tra Lawrence d’Arabia e Guillet. Nessuno però ha riportato la frase conclusiva di quella stanza: “Ecco perche' io mi ostino a sentirmi e a voler essere ancora italiano: perche' in Italia, in mezzo a tanto letame, ci sono ancora i Durand e i Guillet”. Eroi ormai di altri tempi ed epoche, le cui imprese appaiono oggi molto difficili da comprendere a chi la guerra la vede ogni giorno, ma solo in televisione. Simboli di fedeltà all’Idea di Italia, incarnata prima del 1948 anche dalla Corona. Protagonisti di un nazionalismo romantico, che qualcuno confonde con molta superficialità con il bellicismo fascista.
La prima volta che Montanelli vide Guillet fu in guerra: “lo conobbi nel ' 36 a Gondar, anche se allora non facemmo in tempo a stringere amicizia. Comandavamo entrambi una piccola formazione di truppe indigene, ma gia' i suoi amhara a cavallo lo chiamavano Communtar as sciaitan, Comandante Diavolo per tante che ne faceva”. Avrebbe potuto scrivere lui una grande storia dell’amico, ma non la fece per rispetto dell’opera altrui: “Potrei riempire pagine su Guillet, ma non voglio mettermi in concorrenza con Segre, che di lui ha gia' detto tutto”.