Mi sorprende e mi sconcerta vedere con quanta foga il ministro Tremonti vada in giro per l'Italia a sostenere che per sancire i principi della libertà d'impresa è necessario modificare la Costituzione. È vero che l'art. 41 è frutto di un compromesso storico tra i padri costituenti, tra il socialismo e il liberalismo, ma certamente pende più verso quest’ultimo. E a farlo pendere ancora di più finanche al liberismo vi è stato negli anni scorsi – fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lo scorso 1 dicembre 2009 – l’art. 4 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, il quale prevedeva che la politica economica e quella monetaria degli Stati membri fossero condotte “conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”. Cose fra l’altro per nulla in contrasto con i principi espressi dall’art. 41.
Da giurista, qual è a tutti gli effetti essendosi laureato in giurisprudenza presso l’Università di Pavia, il nostro ministro dell’Economia non può ignorare il disposto dell’art. 11 della Costituzione, il quale consentendo “in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, è stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale come la porta d’ingresso del diritto comunitario nel nostro sistema. Inoltre l’art. 117 Cost. ci ricorda come la potestà legislativa sia “esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Anche guardando all’art. 41 come ad un residuo bellico, bisogna riconoscere che nel tempo il suo valore programmatico è stato assai limitato dal diritto comunitario, il quale è direttamente applicabile nel nostro ordinamento. Si può quindi dire che in verità l’art. 41 è già stato riformato più volte dall’Unione Europea, da ultima lo scorso dicembre.
L’art. 3 del Trattato di Lisbona, che prende il posto dei vecchi trattati, non sembra poi così distante dal tenore del nostro art. 41. Si dice infatti che l’UE “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente”. È fatta diretta menzione di quella “economia sociale di mercato” tanto cara al nostro Ministro, e della quale egli è uno dei maggiori esponenti a livello europeo. Ma se è la stessa "costituzione europea" a prevedere un modello di sviluppo dell’economia che si propone di garantire sia la libertà di mercato che la giustizia sociale, armonizzandole tra loro, perché ora viene considerato vecchio e anacronistico un articolo che dichiara che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale?
Tremonti ha perfettamente ragione quando dice che l’Italia ha bisogno di rimuovere l'eccesso di regole; perché le regole necessarie sono un investimento, ma quelle inutili determinano costi eccessivi. Tuttavia il messaggio che fa passare è sbagliato: l’art. 41 non è un limite alla libera impresa e non impone assolutamente la burocrazia: questa può essere diminuita e azzerata semplicemente mediante legge ordinaria, già oggi.
Negli ultimi tempi si sta diffondendo una cattiva tendenza nel governo, l’idea che ogni riforma debba per forza comportare una revisione della Costituzione, anche nei suoi principi fondamentali. Molto spesso, come in questo caso, si ha veramente la sensazione che i nostri politici si nascondano dietro la Costituzione – la migliore del mondo, e non ci stancheremo mai di ripeterlo – per non ammettere la loro incapacità ad intraprendere quelle riforme liberali tanto necessarie al Paese, quanto decantante e mai iniziate dal nostro Premier.