Ieri mentre Francesca Schiavone vinceva - prima italiana nella storia - il Roland Garros, a circa 2.500 chilometri di distanza, in mezzo al mediterraneo in quel di Gozo scendeva in campo la nazionale di calcio della Padania per affrontare nella finale della Viva World Cup 2010 la temibile e navigata formazione del Kurdistan.
L'altro ieri Fabrizio Roncone dalle sacre pagine del Corriere della Sera ci raccontava di come la formazione padana avesse battuto gli acerrimi rivali del Regno delle Due Sicilie in semifinale: "i borbonici hanno, di fatto, perso nell'intervallo. Quando nello spogliatoio accanto è entrato Renzo Bossi, il figlio prediletto del senatùr, il ragazzo che ancora qualche sciocco si ostina a chiamare la trota - come, in effetti, suggerì però di definirlo il padre, che detesta la metafora dei delfini - e che invece dovreste vedere come sta, e con quale piglio, nel ruolo del piccolo team-manager".
Ieri, pur soffrendo, la trota guidava i suoi pesci alla conquista della terza coppa consecutiva. Nulla poteva il valoroso popolo curdo di fronte allo strapotere di Maurizio Ganz, glorioso scudettato milanista nell'anno di grazia 1999. Invano difatti il Kurdistan protestava con l'arbitro per un gol annullato in fuorigioco. Una finale così combattuta non la si ricordava dal 2006, quando la Lapponia si era laureata campione del mondo battendo il Principato di Monaco solamente per 21 a 1.
Molto molto lontano la Schiavo festeggiava sul Court Filippe Chatrier un risultato così straordinario che costringeva persino il papone Umberto a riconoscere le qualità di 'sta ragazza cresciuta in Padania da famiglia irpina: "Interessante, quella lì, nata nel quartiere Gallaratese di Milano". Poche parole ma dense di significato.