A prescindere da quelle che saranno le conseguenze penali dell’inchiesta avviata dalla Procura di Napoli nei confronti di Nicola Porro e Alessandro Sallusti (Vittorio Feltri l’ha scampata essendosi dimesso da direttore giusto un paio di settimane fa per gli strascichi della sospensiva dell’Ordine nei suoi confronti), ciò che appare chiaro è che la macchina del fango era pronta a partire un’altra volta, questa volta contro la presidenta di Confindustria, rea di aver rilasciato un’intervista al Corriere della Sera fortemente negativa nei confronti del Governo. “Non ha… non sembra berlusconiana..., è una stronza”: nelle parole del vicedirettore del Giornale troviamo la giustificazione alla reiterazione del trattamento Boffo. È sempre così: chi critica il capo deve essere screditato, punito. E non si guarda in faccia a nessuno.
“Domani super pezzo giudiziario sugli affari della family Mercegaglia”, “Adesso ci divertiamo per venti giorni, romperemo il cazzo alla Mercegaglia come pochi al mondo”, “Spostati i segugi da Montecarlo a Mantova”: da Gianfranco Fini ad Emma. Lo stile feltriano è questo, signori. E poco importa che il trattamento non sia infine entrato in funzione anche per lei: il fatto che esso sia stato bloccato tramite l’intercessione di Fedele Confalonieri (terzo braccio del nostro Premier) richiesta dalla signora di Confindustria, dimostra che tutte le storielle del tipo “Feltri fa quello che vuole; mi fa più male che bene; io non ho potere sul Giornale” sono appunto solo storielle. Il Giornale è un manganello da usare contro chi dissente.
Certo nelle parole di Porro si legge anche un certo delirio di onnipotenza, e possiamo anche concedergli un tono goliardico. Ma la sostanza non cambia: la linea editoriale del quotidiano di (Paolo) Berlusconi è la diffamazione sistematica contro chi si azzarda a criticare il capo. Sia il direttore dell’Avvenire, il presidente della Camera o quello di Confindustria, non si fa una piega: l’obiettivo è randellare il traditore. Spulciare la sua vita personale, trovare il pur minimo scheletro nell’armadio e ingigantirlo a dovere, in modo che non possa più fare il più bello degli altri. Il trattamento si spinge fino a creare prove false (come fu la lettera anonima spacciata per informativa giudiziale nel caso Boffo) o a minacciare (come sembra emergere dall’affaire Marcegaglia).
Se il Giornale scherza, lo fa con il fuoco. La Marcegaglia ha già deposto davanti ai pm Woodcook e Pisciatelli: “non mi era mai capitato che un giornale tentasse di coartare la mia volontà con queste modalità per ottenere un’intervista ovvero in conseguenza di dichiarazioni da me precedentemente rilasciate”. Sembra configurabile quindi il reato di violenza privata. Per i pm napoletani “il giornalista non solo ha il diritto di scrivere quanto ritiene necessario, ma anche il diritto di criticarlo e di farlo anche in modo duro, pungente e veemente. Può acquisire notizie e informazioni anche riservate e persino segrete; ancora fatti salvi gli aspetti deontologici, può essere fazioso”, tuttavia “il giornalista non ha diritto di utilizzare i propri scritti e le proprie pubblicazioni allo scopo di coartare la volontà altrui”.