giovedì 30 settembre 2010

Noi giovani, futuristi per natura


“Futuro e Libertà per l’Italia”: partire da un nome per proseguire un progetto. “Futuristi”: aggettivo nobile, storico, artistico, ma da meritarsi. Sicuramente ci farebbe piacere un giorno passeggiare e venire riconosciuti per questo: “guarda, quelli sono i nuovi futuristi!”. Un futurismo certo più politico che artistico, ma d’altronde anche lo stesso Filippo Tommaso Marinetti aveva nel 1918 creato il Partito Politico Futurista con lo scopo di tradurre nella lotta politica gli ideali del movimento futurista.
“Noi ci ribelliamo alla suprema ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e dell'entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e giudichiamo ingiusto, delittuoso, l'abituale disdegno per tutto ciò che è giovane, nuovo e palpitante di vita”: nel 1910 Umberto Boccioni criticava la staticità dell’arte pittorica e i passatisti (coloro che amano esclusivamente il passato). Allo stesso modo oggi noi critichiamo l’immobilismo della politica italiana e la mancata apertura di una stagione dinamica e riformista.
“Giovani futuristi”: suona maledettamente bene. Così bene da sembrare un’endiadi. D’altra parte noi giovani siamo per natura futuristi: per spirito d’iniziativa, per dinamismo, per la volontà di essere avanguardia. C’è qualcosa che ci spinge a riconoscere sempre prima degli altri le buone idee, quelle da cui derivano mode e rivoluzioni. Forse perché il futuro noi un po’ già lo viviamo nel presente, essendo i cittadini di domani. O forse perché abbiamo il coraggio di buttarci in una cosa, senza stare a pensarci troppo, senza masturbazioni mentali. Ci basta riconoscere il giusto e il sbagliato, per scegliere il giusto.

giovedì 23 settembre 2010

Il pirata dei Caraibi


E patacca dai Caraibi fu. Sono bastate meno di 24 ore al Fatto Quotidiano per smascherare il falso documento oggi sbandierato in prima pagina da Feltri e Belpietro come prova di colpevolezza contro Gianfranco Fini per l'affaire Montecarlo. La stamperia di Stato di Saint Lucia afferma infatti che il documento Tulliani non è il loro. Una brutta copia, ma soprattutto un brutto colpo per i lettori del Giornale e di Libero: proprio quando si sentivano vicini alla fine della loro appassionante caccia al tesoro, devono iniziare tutto da capo. Ma la prova che Fini mentiva era lì, pubblicata dall'autorevolissimo periodico online El Nacional di Santo Domingo per 12 ore e poi misteriosamente scomparsa. Vatti a fidare dello Stato di Santa Lucia. Vatti a fidare dei servizi segreti italiani. Vatti a fidare di tale Valter Lavitola, editore dell'Avanti!.
Il pirata con la bandana sembra aver perso la rotta. Piccoli berluscones troppo zelanti rubano il timone al proprio capitano, ma commettono solo guai. Si sa che in mare gli ascari servono a poco.
Le vedette vedono nero all'orizzonte. In mezzo a tale tempesta il quotidiano d(ella famiglia d)i Silvio ci dimostra ogni giorno che è meglio una cacca oggi che una montagna di merda domani. In tutto questo ci chiediamo dove sia finito l'obbligo di verifica della veridicità di una notizia. La risposta esatta è: in vacca.

"Il dettaglio è rilevante. La carta pubblicata da Libero e da il Giornale infatti, differisce in alcuni preziosi particolari da quella ufficiale. Le due intestazioni sotto lo stemma statale, per cominciare, sono scritte con due caratteri diversi da quelli del modello. Ma il passaggio fondamentale è un altro e Aimable ce lo spiega involontariamente: se la NPC non fornisce carte digitali modificabili, perché sul documento pubblicato da Libero e da il Giornale compare un hyperlink sotto l’indirizzo di posta elettronica dell’ufficio del ministro? In una carta intestata, quella scritta non dovrebbe esserci. A rigor di logica questo significa solo una cosa: che il documento è stato composto al computer, ma non su quella carta". da ilfattoquotidiano.it

giovedì 16 settembre 2010

Il PD e la sindrome di Tafazzi


Io il PD non lo si capisco. Ben inteso, non è il mio partito, non sono i miei leader, ma da spettatore interessato di politica ogni giorno comunque mi sforzo di trovarci qualcosa nel PD, un'idea, un sussulto, un vaghito. Ma ogni giorno puntualmente non ci trovo nulla, zero assoluto. Di quest’ultima settimana passata ci rimangono in serie il “ragassi rimbocchiamoci le maniche” di Bersani travestito da Crozza, la lettera dei quarantenni Giovani Turchi del PD (mai scelta del nome fu più infelice) e i dolori dell’altro nongiovane Walter che dopo aver perso le primarie anche per interposta persona se ne esce con l’idea di creare suoi nuovi gruppi parlamentari, che oggi vanno di moda. Poi ritratta e si limita a “preparare un documento” per difendere il PD “com’è nato”. 
Non so se Veltroni abbia ragione o torto, e non è mio compito appurarlo, ma la sua mossa arriva con tempismo perfetto ad affossare ancora una volta quella pur minima credibilità che Bersani stava ritrovando autolanciatosi molto faticosamente domenica scorsa dal palco della Festa nazionale dell’Unità - pardon, Festa Democratica. Geniale. Prima davanti al rischio elezioni fanno vedere a tutta Italia di avere una paura matta di andare al voto, poi iniziano a sproloquare di improbabili alleanze costituzionali da Vendola a Fini (questa della Bindi, incredibile, mi ha fatto avere un po’ di pena per i miei amici che turandosi il naso li vanno ancora a votare), poi invitano Di Pietro alla loro festa e si fanno portare via i voti da lui tra l'altro riempiendo di fischi Marini, infine si autoflagellano le parti bassi alla maniera del miglior Tafazzi proprio quando Berlusconi è così alla frutta da cercare di comprare i parlamentari dell’Italia dei Valori con la promessa di pagargli il mutuo sulla casa. Più o meno lo stesso refrain che va avanti da sedici anni: nel tennis la paura di perdere la chiamano “braccino”, ma qui a furia di darsi mazzate siamo al “gomito del tennista”. 

lunedì 13 settembre 2010

Tutte insieme fanno pensare


46 prime pagine consecutive "dedicate" a Fini. Oggi per la prima volte dal 28 luglio il Giornale di Feltri non dedica il titolo principale al nemico n°1 del Capo. Tranquilli, però. L'ossessione continua nelle pagine interne.  

(Immagine da Freddy Nietzsche)

La leggenda del sindaco pescatore


Acciaroli (Pollica). Angelo Vassallo era un sindaco italiano, rispettoso della legge e delle istituzioni, convinto ambientalista. In questi anni aveva trasformato il territorio che amministrava in una piccola isola felice la cui economia veniva trainata dal turismo. Sapeva che il rispetto del mare e del proprio territorio sono le basi per dare un futuro a questo Paese immensamente ricco di risorse naturali, ma anche immensamente autolesionista e travagliato dal male.
La Camorra lo ha ucciso con sette colpi di pistola in faccia il 5 settembre 2010. Come spesso avviene in questi casi, Angelo Vassallo probabilmente era stato lasciato troppo solo. Certe sue denunce erano cadute nel vuoto.
E' stato ammazzato perchè simbolo di buongoverno e di argine al malaffare. Un delitto "esemplare", un avvertimento per gli altri sindaci che si battono per la legalità.
La speranza è che questi anni di amministrazione siano stati d'esempio per la sua comunità, e che la sua eredità e la sua leggenda continuino a lungo a plasmare positivamente sia chi ha avuto la possibilità di conoscerlo, sia chi lo ricorderà come un esempio e un martire dello Stato.

giovedì 9 settembre 2010

Cronaca di un comunicato


Torno da Mirabello che è l’una e mezza di notte. Fabio mi lascia giù, dovrà farsi un’altra mezz’oretta prima di arrivare a casa sua. Lo ringrazio e rimaniamo d’accordo di sentirci la mattina seguente: dobbiamo fare il comunicato stampa da inviare ai quotidiani locali. Chiave nel cancello, poi l’ascensore e infine il portone. Entro in casa e accendo subito il computer: la voglia di conoscere le reazioni al discorso di Gianfranco è troppa. Guardo i titoli dei giornali online: la Stampa, il Corriere, la Repubblica, il Giornale. Per adesso sono più o meno gli stessi: “Il Pdl non c’è più”, “Fini offre un patto di legislatura”. Sul sito della Stampa propongono un istant poll: alla domanda “Vi è piaciuto il discorso di Fini?” rispondo sì, come l’81% dei voti totali. Giusto il tempo di dare un ultima occhiata a facebook (non sono l’unico alle due di notte appena tornato da Mirabello), e poi a letto. Domani svegliarsi sarà complicato.
Mattina. Devo scrivere il comunicato stampa: sento Fabio e decidiamo come impostarlo. Mi riguardo un po’ del discorso del giorno prima. Che discorso. Ripenso ai passaggi principali, a quelli da sottolineare: la gente si chiederà cosa faremo adesso. Mi rivedo il giorno prima, tra la folla, con gli amici che mi hanno seguito fino in questo paesino della pianura ferrarese. Per molti di noi è la prima volta qui, ma più in generale è la prima volta che facciamo politica; abbiamo iniziato solo da qualche mese, quasi per caso. Penso che questo sia già un grosso risultato in tempi in cui tantissimi giovani non vanno neanche a votare. L’hanno detto in molti e a ragione: a Mirabello è tornata la passione.

mercoledì 8 settembre 2010

Intanto una generazione è andata persa


“Ma dove sono i trentenni e i quarantenni?”. Domanda tragica che negli ultimi tempi ho dovuto pormi due volte: la prima partecipando ad un coordinamento comunale del Pdl, la seconda assistendo alla presentazione nella mia città del Partito della Nazione (la nuova creatura di Casini). Di questi tempi si parla tanto di disaffezione dei giovani verso la politica, ma a mio parere si sbaglia nel considerare questa disaffezione un tratto distintivo dei ventenni. La generazione che veramente la politica ha perso è quella dei nati negli anni settanta e cresciuta nei ruggenti ottanta.
In queste prime settimane di vita, GenerazionItalia mi ha dato la possibilità di guardare da dentro la politica cittadina e di conoscere qualche protagonista. Devo dire che si avverte molto la mancanza della generazione dei trentenni-quarantenni, perchè rende più difficile il dialogo tra i gruppi giovanili e l’establishment di partito, generalmente formato da persone con almeno un cinquantina d’anni, se non di più: il divario culturale è evidente e in qualche modo ripropone dinamiche familiari. Le conseguenza negativa è la chiusura in sé stessa della comunità giovanile anche all’interno di un partito.
Ma perché si è persa questa generazione? La risposta che mi do è duplice. Da una parte ci sono le barriere all’ingresso che la classe politica italiana ha messo tra sé e le nuove leve negli ultimi vent’anni. Questo è un problema che parte dai vertici: la Lega è sempre Bossi, Berlusconi è finora stato l’unico collante per la destra, il PD è ancora D’Alema contro Veltroni.