giovedì 16 settembre 2010

Il PD e la sindrome di Tafazzi


Io il PD non lo si capisco. Ben inteso, non è il mio partito, non sono i miei leader, ma da spettatore interessato di politica ogni giorno comunque mi sforzo di trovarci qualcosa nel PD, un'idea, un sussulto, un vaghito. Ma ogni giorno puntualmente non ci trovo nulla, zero assoluto. Di quest’ultima settimana passata ci rimangono in serie il “ragassi rimbocchiamoci le maniche” di Bersani travestito da Crozza, la lettera dei quarantenni Giovani Turchi del PD (mai scelta del nome fu più infelice) e i dolori dell’altro nongiovane Walter che dopo aver perso le primarie anche per interposta persona se ne esce con l’idea di creare suoi nuovi gruppi parlamentari, che oggi vanno di moda. Poi ritratta e si limita a “preparare un documento” per difendere il PD “com’è nato”. 
Non so se Veltroni abbia ragione o torto, e non è mio compito appurarlo, ma la sua mossa arriva con tempismo perfetto ad affossare ancora una volta quella pur minima credibilità che Bersani stava ritrovando autolanciatosi molto faticosamente domenica scorsa dal palco della Festa nazionale dell’Unità - pardon, Festa Democratica. Geniale. Prima davanti al rischio elezioni fanno vedere a tutta Italia di avere una paura matta di andare al voto, poi iniziano a sproloquare di improbabili alleanze costituzionali da Vendola a Fini (questa della Bindi, incredibile, mi ha fatto avere un po’ di pena per i miei amici che turandosi il naso li vanno ancora a votare), poi invitano Di Pietro alla loro festa e si fanno portare via i voti da lui tra l'altro riempiendo di fischi Marini, infine si autoflagellano le parti bassi alla maniera del miglior Tafazzi proprio quando Berlusconi è così alla frutta da cercare di comprare i parlamentari dell’Italia dei Valori con la promessa di pagargli il mutuo sulla casa. Più o meno lo stesso refrain che va avanti da sedici anni: nel tennis la paura di perdere la chiamano “braccino”, ma qui a furia di darsi mazzate siamo al “gomito del tennista”.