Mohammed al Bouazizi è un ragazzo di 26 anni laureato in lingua e letteratura araba. Dopo molti tentativi di far fruttare il suo titolo di dottore andati a vuoto, si è dovuto arrendere: è costretto a vendere al mercato un po’ di frutta, verdura e legumi. Il 17 dicembre 2010 è con il suo carretto nella Piazza di Sidi Bouzid, cittadina dell’interno tunisino: non potrebbe starci perché non ha il permesso, come tanti. Due poliziotti gli si avvicinano. Gli contestano di essere un abusivo e gli sequestrano tutta la merce, del valore complessivo di 20 euro. Sembra poco ma è tutto il suo capitale. Mohammed disperato prova a protestare in Prefettura, ma non viene neanche ascoltato. Scende le scale del palazzo, lancia un urlo, si cosparge il corpo di benzina e si dà fuoco. Diventa una torcia umana. Muore 17 giorni dopo all’ospedale civile di Tunisi. Inizia così la rivolta per il pane e la libertà in Tunisia. Dice di lui il fratello: «Era un sognatore che grazie ai sacrifici dei nostri genitori era riuscito a laurearsi in lingua e letteratura araba. L´orgoglio di tutti noi. Mia madre non stava nei panni per la gioia. Anche se non riusciva a trovare lavoro, non l´ho mai sentito lamentarsi. Anzi, mi faceva coraggio, vedrai che prima o poi qualcosa succede e per noi le cose si aggiustano». Ma il paese non conosce il merito. Se sei povero, rimani povero. Se non hai agganci, non trovi lavoro. E nemmeno un permesso per un carretto.
Jan Palach è un ragazzo di 21 anni iscritto alla facoltà di filosofia dell’Università Carlo di Praga. Come tanti universitari cecoslovacchi assiste con entusiasmo alla c.d. Primavera di Praga, la stagione riformista e di liberalizzazioni portata avanti dal Partito Comunista Cecoslovacco tra il 5 gennaio e il 20 agosto 1968 e repressa nel sangue dai carroarmati sovietici tra l'impotenza e la vergogna delle democrazie liberali. Il 16 gennaio 1969 Jan si reca in Piazza San Venceslao. Si ferma ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparge il corpo di benzina e si appicca il fuoco con un accendino. Muore dopo tre giorni di agonia, conservando per tutto il tempo la lucidità. Tra i suoi scritti verrà trovata questa lettera: «Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la chiusura del Zpravy [il “Notiziario”, giornale delle forze d’occupazione sovietiche]. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà».