Sabato scorso al Garilli avevamo già capito tutto. Le facce dei giocatori dopo lo 0-0 con l'Albinoleffe erano inequivocabili: ripetevamo "ragazzi noi ci crediamo" proprio perchè avevamo capito che loro avevano smesso di crederci da un pezzo, da quella maledetta Atalanta-Piacenza. Da lì è iniziata la discesa, dopo un periodo di buoni risultati che ci aveva portato a 2 punti dai play-off. Gervasoni e Doni: una coppia che difficilmente dimenticheremo, sperando che l'ex cremonese - scherzo del destino - rimanga l'unico dei biancorossi ad essersi macchiato di nero. Ma quanti giocatori servono per truccare una partita? Bastano solamente un difensore e un attaccante?
Domande che ora passeranno in secondo piano, perchè si è avverato quello che tutti temevamo e avevamo previsto non da mesi, ma da anni. Da quando dopo aver sfiorato il miracolo dei play-off con Degano e Simón, ad ogni giugno la squadra veniva smembrata, il progetto accantonato, le ambizioni ridimensionate in partenza. Abbiamo visto abbandonare tre grandi allenatori come Iachini, Pioli e Ficcadenti: tutti e tre lasciati andare perchè chiedevano che la squadra rimanesse competitiva. "Se retrocediamo, il Piace fallisce": lo dicevamo e lo sapevamo tutti che sarebbe andata così. Tutta la città lo sapeva. Ora abbiamo 20 giorni per salvare il Piacenza, e non sembra esserci nessun sceicco alla porta.
Nell'ultima stagione dell'era Garilli si salvano in pochi, o meglio in tanti: quei tanti che hanno voluto credere fino alla fine in una squadra che però da tempo non credeva più in sè stessa, quei tanti che hanno voluto tapparsi le orecchie e sognare ancora ad occhi aperti, quei tanti che hanno dimostrato che i piacentini hanno ancora voglia di calcio, tanto da vivere una finale play-out come un grande atto d'amore. Non l'ultimo, perchè il Piace ripartirà da qui: dai suoi tifosi, dalla sua storia, dalla sua maglia.