Su facebook capita ormai di trovare di tutto: molti gruppi o pagine di cattivo gusto, a volte al limite del codice penale, a volte oltre. Non è quest’ultimo il caso, ma nelle vicinanze del giorno della memoria delle foibe (fissato nel 2004 al 10 febbraio) un post apparso sulla bacheca mi infastidì davvero tanto. Esso riportava una foto del maresciallo Josip Broz Tito (dittatore della ex Jugoslavia dal 1945 al 1980, anno della sua morte) con alcuni suoi ufficiali ed era guarnita di una didascalia:
“TITO VIVE!!! Giornata del ricordo = REVISIONISMO. Sulle FOIBE un mare di palle: nessuna pulizia ma solo un po' di giustizia antifascista.”
Nel merito è facile contestare il contenuto dello slogan: vittime delle foibe e più in generale delle esecuzioni jugoslave non furono solo militanti fascisti, ma anche “preti, antifascisti e addirittura membri del Comitato di liberazione nazionale” (Gianni Oliva, Foibe, 2002). Gli infoibati ebbero tutti una colpa comune: l’essere italiani.
Non sono uno storico né un giornalista che vuole fare lo storico e per questo mi limito a citare anche un passo di Arrigo Petacco e del suo libro più importante, l’Esodo, che già nel 1999 affrontava la tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia:
«…altre formazioni di comunisti italiani incontrarono sorti peggiori. Gli slavi infatti non esitavano a passare per le armi quei comandanti che rifiutavano di sottoporsi al loro controllo. È quanto è capitato, per esempio, al Battaglione Giovanni Zol, che pretendeva di ricevere ordini solo dalla federazione triestina del Pci. Accusati sbrigativamente di “insubordinazione al superiore comando jugoslavo” tre esponenti del Battaglione, Giovanni Pezza, Umberto Dorino e Mario Zezza, furono condannati a morte. Pezza e Dorino furono immediatamente fucilati, Zezza riuscì a salvarsi in circostanze fortunose».
Non si tratta quindi di fare revisionismo ma di studiare una parte della storia d’Italia troppo a lungo ignorata e dimenticata a proposito, che l’estrema sinistra rifiuta accecata dalla propria mitologia comunista. Per la Jugoslavia si trattò di una spontanea lotta di popolo che come tutte le insurrezioni ebbe i suoi eccessi, ma questa tesi appare oggi troppo assolutoria nei confronti dei battaglioni titini autori delle stragi; anche se durante il ventennio il regime fascista utilizzò il pugno duro contro le minoranze slovene e croate, le quali furono oggetto di una campagna di snazionalizzazione.
Per gli italiani riguardo ai massacri delle foibe (anche se il termine “foibe” ha un carattere simbolico: molti italiani finirono nelle voragini carsiche ma la maggior parte delle vittime fu eliminata nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi) il punto non è scoprire chi si vendicasse di chi, ma capire perché una parte di storia italiana è stata per decenni rinnegata dalla storiografia e nascosta all’insegnamento.