Il progetto di una nuova legge da presentare in Parlamento per consentire a B. di sfuggire al processo Mills (ma anche a quelli Mediaset e Mediatrade) è realtà. Le mediazioni procedono. Il presidente della Camera Fini lascia trapelare che per preservare la governabilità della maggioranza è possibile arrivare a un compromesso. L’idea di B. e del suo avvocato, nonché parlamentare nonché componente della Commissione Giustizia, Niccolò Ghedini è quella di diminuire ulteriormente i termini di prescrizione per alcuni determinati reati. La c.d. prescrizione breve introdurrebbe la “ragionevole durata” per un processo: se questo non si concludesse per i tre gradi di giudizio in sei anni, scatterebbe la prescrizione. Fini e il suo rispettivo avvocato Giulia Bongiorno, nonché deputata nonché presidente della Commissione Giustizia, stanno cercando di limare questa norma: propongono di restringerle il campo applicandola solo a chi sia “incensurato”, e di far scattare la prescrizione se entro un limite di tempo dall’inizio del processo non si sia arrivati alla sentenza di primo grado.
In ogni caso i problemi cui i berluscones si trovano di fronte nel strutturare una tale legge sono seri. Appare infatti scontato che una tale forma di scudo vada a toccare altre migliaia di processi. Siamo di nuovo di fronte ad un progetto di legge ad personam che mette a rischio la stabilità e la, seppur già bassa, linea di galleggiamento del sistema giudiziario. A prescindere dalle motivazioni politiche che spingono B. a cercare protezione rispetto al rischio di una sua caduta dovuta ad una possibile condanna giudiziaria, il processo penale non ha i mezzi per sostenere una tale norma. Questo a causa della sua struttura sic et simpliciter, e a causa di carenze strutturali e di risorse (sia economiche che umane).
Il legislatore del 1988 emanando il nuovo codice di procedura penale è caduto in un eccesso di garantismo che ha comportato l’allungamento dei processi rispetto al previgente sistema inquisitorio e la loro eccessiva durata. In particolare il principio che obbliga la formazione della prova in contraddittorio è la causa di molti mali del processo penale: escludendo la validità delle prove raccolte durante le indagini, obbliga il PM a raccoglierle una seconda volta, spesso andando incontro a “misteriosi” cambiamenti di versione dei testi chiave. Tutto ciò dovrebbe essere sempre ricordato a quei politici che attaccano la magistratura tacciandola di inadempienza di fronte ai lunghi tempi processuali. Il magistrato lavora con i mezzi che gli vengono forniti dalla legge. E le leggi le fanno i politici.
A ciò c’è da aggiungere come la disciplina della prescrizione sia già stata modificata pesantemente nel 2005 con la legge c.d. ex-Cirielli, la quale ha abbassato i termini prescrizionali rispetto al passato anche per delitti di rilevante gravità, toccando soprattutto gli illeciti tipici della c.d. criminalità dei colletti bianchi (peculato, corruzione, concussione, bancarotta etc.) e facendo sorgere un sospetto: e cioè, prendendo a prestito le parole dei proff. Fiandaca e Musco, “che il perseguito abbassamento dei tempi della prescrizione sia funzionale all’obiettivo di consentire un più rapido oblìo di quelle figure di reato di cui solitamente si rendono responsabili – appunto – autori primari appartenenti ai ceti sociali privilegiati”.